Tempo fa, a farsi un giro sui social, specie su Instagram e Facebook, quelli da boomer, era tutto un florilegio di immagini di noi, non ero certo osservatore neutrale, particolarmente invecchiati o riportati indietro nel tempo, a quando ero poco più che un bambino. Era frutto di un’app, ai tempi si disse russa, che manipolava, col nostro consenso, le immagini, giocando a ripulirci l’aspetto o riempiendoci di rughe e capelli bianchi. Tutti o quasi tutti ci siamo cascati, e a poco è valsa la notizia, ovviamente arrivata troppo tardi, che la app stesse usando questo giochino social, presto diventato virale, per fregarsi non so più quanti milioni di nostre immagini private, ho sempre faticato a capire che se ne facciano di qualcosa che in fondo è già lì, a disposizione dei medesimi social cui le cediamo firmando accordi che ovviamente nessuno di noi si è mai premurato di leggere.
Tempo qualche giorno, non posso certo ricordare quando questo giochino sia stato di gran moda, qualcos’altro ci ha distratto, impigliandoci in trame che ci dettano l’agenda, ricorderete quella che ci trasformava in avatar da videogioco, una sorta di The Sims che incontra Second Life e mashuppa con Pacmam, e gli esempi potrebbero davvero essere centianaia, puf, di noi bambini e noi invecchiati non si è più sentito parlare. Nei giorni scorsi è apparsa un’altra app, Lensa, che partendo dallo stesso principio, noi che mettiamo a disposizione una decina di nostre foto in primo piano, ci trasforma in soggetti per ritratti di arte varia. Esistono già applicazioni, anche professionali, che possono trasformarci in un dipinto di Picasso come in uno di Vermeer, ma qui i ritratti sono più contemporanei, difficile riconoscere chi sia il titolare dello stile che andrà a rappresentarci. Ecco che molti hanno iniziato a condividere le loro gallerie di ritratti, tra questi ovviamente VIP e artisti che col loro condividere hanno dato al tutto una spinta decisiva, perché hai voglia a dire che i successi partono sempre dal basso, la condivisione di nomi e volti noti funziona anche oggi come volano per qualsiasi tipo di diavoleria.
Così eccoci a ammirare i volti trasformati dei nostri amici, conoscenti, idoli, di volta in volta fumettosi, manga, psichedelici, e tutta quella gamma di variabili che l’arte contemporanea può metterci a disposizione. I tempi dei social, non dico niente di nuovo, sono ormai sempre più veloci, anche le shit storm, salvo rari casi, durano il tempo di trovare un’altra vittima sacrificale, per cui che dietro questa moda passeggera ci fosse un’altra fregatura, presunta o reale, è venuto fuori nel giro di poche ore, forse giusto un paio di giorni. Stavolta, sembrerebbe, a farne le spese non tanto noi boccaloni, mi metto nel gruppo più per generosità che per reale coinvolgimento, periodo troppo incasinato per me questo per cascarci dentro con le scarpe e tutto, lì a condividere le nostre immagini, dando vita a un gigantesco database di immagini di cui qualche hacker potrebbe fare chissà che uso, quanto piuttosto migliaia di artisti, il cui stile e i cui tratti sarebbero stati scippati impunemente, giusto qualche aggiustamento minimo per impedire una denuncia di plagio, sempre che copiare lo stile di qualcuno sia passibile di denuncia per plagio, in arte.
Un po’ come se nel campo musicale esistesse un’app in grado di trasformare una qualsiasi canzone nel brano di un altro artista, giusto apportando le modifiche del caso. Intendiamoci, non so se esista una app del genere, ma artisti che praticano questo esercizio ne conosco, sia che si tratti di fare cover, quindi dichiarando la cosa, sia che si tratti di rivedere a proprio beneficio il lavoro di altri, semplicemente scippando il tutto e traformandolo, un paio di accordi girati, qualche lieve modifica armonica, un ritmo rallentato o accelerato, il gioco è fatto. Del resto non è passato molto tempo da che Michele Iorfida Canova, produttore che per anni è stato considerato una sorta di Re Mida della discografia italiana, partito da Padova come produttore di Leandro Barsotti, quindi approdato alla corte di Alberto Salerno e Mara Maionchi ai tempi in cui producevano Tiziano Ferro, l’elenco degli artisti con cui si è trovato a collaborare è talmente ampio da essere impossibile, sempre che io poi abbia la minima voglia di star qui a fare quei nomi, il suo electropop scialbetto a spalmare di grigio il repertorio di quasi tutta la classe media del nostro pop, con anche qualche picco, penso a Jovanotti, oltre lo stesso Ferro, penso a Elisa, Marco Mengoni, Eros Ramazzotti, non è passato molto tempo, dicevo, da che Michele Iorfida Canova ha bellamente ammesso di aver totalmente copiato l’arrangiamento di Did You Ever Think di R.Kelly, fatto di cui lo stesso Ferro mi aveva messo a conoscenza, la storia di me e Ferro al suo esordio è ormai da tempo di pubblico dominio, non credo sia il caso tornarci su, ma che nelle parole di Canova diventa una “marachella”, così l’ha definita durante un’intervista rilasciata a Rolling Stone, una marachella, non un furto. Certo, poi la linea melodica era cambiata, ci mancherebbe altro, e del resto Canova per non saprei dire neanche quante altre volte ha usato questo trucchetto, con lo stesso Ferro come con altri, penso a When I Was Your Man di Bruno Mars usata pedissequamente come base per Il mio giorno più bello del mondo di Francesco Renga, e oggi ormai Canova non è più il drago di una volta, messo in soffitta prima da Dardust, poi da tutta quella sequela di nomi nuovi che, esattamente come accade con gli autori alla moda, hanno iniziato a occupare tutte le caselle a disposizione per un pop che, diciamocelo, appare non esattamente in ottima forma, al momento. Del resto se un successo planetario come La casa di carta non ha mai visto il suo geniale autore Alex Pina rendere pubblicamente omaggio a Spike Lee e al suo Inside Man, non vedo perché Canova dovrebbe fare la medesima cosa per brani che a stento escono dai confini patrii, per non dire di una app che tempo un paio di giorni e non avrà lasciato traccia nel nostro immaginario, prontamente sostituita da un altro giochetto, un altro diversivo, un’altra distrazione.
Il punto, credo, non sia tanto la faccenda delle nostre immagini, quindi, come di quella cosetta chiamata diritto d’autore, che in teoria dovrebbe tutelare le opere di artisti da chi prova a rubare il frutto del proprio lavoro, quanto la proprietà intellettuale dello stile, questo è quello che il titolare della app hanno violato, o meglio, hanno impunemente depredato, andando a rendere il loro furto talmente evidente da farne oggetto di una moda, sotto gli occhi di tutti, come nell’ABC del delinquente: il miglior modo di nascondersi è stare sotto i riflettori. Che a farlo sia però una intelligenza artificiale, di qui in poi AI, e non una persona, un Canova di passaggio, rende il tutto vagamente più contemporaneo, certo, ma anche piuttosto inquietante. Perché se è vero che già da tempo immemore il plagio è stato elevato a opera d’arte in quanto plagio, penso ai lavori di William S. Burroughs o Kathy Acker sul fronte letterario, come a quelli di un Bill Drummond dei KLF o dei Negativland su quello musicale, ma l’idea che a produrre arte, sempre che arte sia, possa essere direttamente una AI, plagiando il lavoro di artisti sconosciuti ai più, quindi non dando vita a citazioni riconoscibili, ma proprio rubando, apre scenari inquietanti, dove l’AI potrebbero davvero essere il prossimo anello evolutivo dell’uomo, il genoma umano replicato e infilato a forza dentro una qualche macchina, in grado anche di creare corpi più resistenti dei nostri, del resto sono decenni che lavoriamo per questo, uso indegnamente una prima persona plurale che non mi vede in realtà coinvolto, dagli occhiali alle protesi, passando per tutte quelle migliorie che la tecnologia ha portato alla nostra vita, rendendo l’invecchiamento più accettabile, laddove non abbia proprio provato a rallentarlo. Un discorso complesso, questo, da Donna Haraway a Naief Yehya il tema del cyborg è stato sviscerato ormai da decenni, e del resto da Matrix a Asimov, il tema dell’AI non tanto come passaggio evolutivo, ma come invasore cui l’uomo deve resistere con tutte le proprie forze partigiane è stato codificato in letteratura come nel cinema. Sempre di qualche giorno fa la notizia che una AI, sempre di loro si parla, ha non solo composto ma anche interpretato una canzone, Today il titolo, la voce sintetica del resto non è troppo diversa dalle voci stonate trattate con l’autotune cui il pubblico giovane si sta sempre più abituando, andando nel giro di poco tempo oltre 100 milioni di ascolti, andando così a incassare oltre trecentocinquantamila dollari. Tutti soldi rimasti in casa, per citare una moda che sta imperversando all’Europarlamento, essendo Tencent Music, colosso cinese dello streaming, anche titolare di Lingyin engine, la tecnologia di sintesi vocale utilizzata, tecnologia che riesce a riprodurre voci del tutto identiche a quelle di artisti reali, vivi o morti che siano, oltre che dell’AI che ha composto il tutto. Non arte, quindi, o non arte creata da umani, ma arte composta, mettendo insieme un numero di informazioni altissimo, quindi andando a assecondare alla perfezine i gusti del target cui si intende arrivare, dalla melodia all’arrangiamento passando per la voce usata, il tutto senza dover star lì a scomodare talento o ispirazione, poveri umani scemi.
Per altro, è evidente, come nel caso della app Lensa, poter accedere a tutta la musica già composta e interpretata fornisce a queste aziende materiale per poter creare un numero infinito di opere, andando semplicemente a destrutturare e ristruttura opere già uscite, anche famosissime. Questo a lato di chi, penso all’ultimo lavoro di Rocco Tanica, autore del libro Non siamo mai stati sulla Terra, edito da Il Saggiatore e scritto a quattro mani, si fa per dire, con una intelligenza artificiale, in una sorta di dialogo tra uomo e macchina, dove la poesia, strano a dirsi, non è tutta opera dell’ex tastierista degli Elio e le Storie Tese, l’uomo a stimolare la macchina, oltre che a farsi stimolare da essa.
Pur condividendo il pensiero dell’Enrico Ruggeri del 1985, quello che cantava Il futuro è un’ipotesi, lo stesso Enrico Ruggeri che oggi rivendica di portare in giro concerti che non utilizzino sequenze preregistrate, maledette macchine, quello che ci aspetta dietro l’angolo sembra abbastanza ben delineato, gli artisti, quelli veri, costretti a vita carbonara, una Sarah Connor a tirare le fila della resistenza, le macchine, leggi alla voce Intelligenza Artificiale e Cyborg, a dominare il mondo, certo, peggio di quel che ci stanno facendo ascoltare i vari campioni di vendite attuali, credo, sia difficile andare, basta solo non finire a fare da succhi di frutta per loro, come previsto dai fratelli, ora sorelle, Wachowskis, un futuro dentro un tetrapack sarebbe troppo anche per un apocalittico come me, smettetela di farvi fare i ritratti da Lensa, per carità.