Lino Guanciale, volto noto e amatissimo sia del piccolo che grande schermo, sta per andare in scena al Piccolo di Milano con lo spettacolo “Europeana”, da lui diretto e interpretato. Un attore che non si risparmia, in grado si spaziare con estrema facilità dalla fiction al teatro, suo primo amore prima del fortunato incontro con la macchina da presa. Negli ultimi anni ha collezionato un successo dietro l’altro, che hanno fatto si che diventasse una delle punte di diamante della serialità televisiva italiana. Noi di MOW lo abbiamo intervistato, ripercorrendo con lui i ricordi e le scelte che lo hanno portato a mettere in scena Europeana, spettacolo in cui interpreta un cronista che viene dal futuro e che, insieme al pubblico in sala, intraprenderà un viaggio per nulla banale, e con una prospettiva insolita, attraverso gli eventi del 900. Non solo teatro ma anche politica. Infatti, ha commentato per noi i primi passi alla segreteria del Pd di Elly Schlein e la linea di governo di Giorgia Meloni. Altro tema particolarmente sentito dall’attore è quello dell’immigrazione, da anni Lino Guanciale è testimonial di UNHCR, agenzia ONU che si occupa dei rifugiati.
Europeana, dal libro al teatro. Come mai hai deciso di portarlo in scena?
È una scelta che parte un po’ da lontano, con la conoscenza del libro di Patrik Ourednìk. Diversi anni fa, nel 2013/14, io e il mio gruppo storico di cui faceva parte Giacomo Pedini, che ora è il direttore di Mittelfest, e Claudio Longhi, che ora dirige il teatro stabile di Milano, stavamo allestendo un progetto su Modena e Roma: “Il Ratto d’Europa”. Era un progetto sull’identità Europea. Avevamo avuto questa folle idea di allestire uno spettacolo città. Ovvero di mettere su un testo con l’apporto di 110 laboratori, dislocati nei più disparati contesti cittadini, che dovevano rappresentare un frammento di testo che poi noi avremmo montato ed editato. Ci serviva un modello drammaturgico per questa enorme griglia da costruire, e ci imbattemmo, per trovare un riferimento, in Europeana. Se non ricordo male fu proprio Giacomo Pedini a scovare questo testo, uscito nei primi anni duemila. Porta avanti questa impresa titanica, e ironica al tempo stesso, di fare una storia a forma di lista, di catalogo, di cosa è successo nel 900 dal punto di vista della storia delle idee e dei mercati. Ce ne siamo innamorati, e non ne abbiamo fatto solo il nostro modello per il progetto “Il Ratto d’Europa”, ma ci era rimasto il pallino di cercare di portarlo in scena a sé stante. Quindi, quando Giacomo è diventato direttore al Mittelfest, ci sentimmo perché volevo fargli i complimenti e ci dicemmo subito “proviamoci adesso, mettiamo in scena Europeana”. Questo innamoramento partito da lontano si è poi concretizzato in uno spettacolo recentemente, quando si sono prodotte le giuste condizioni.
Nello spettacolo interpreti un cronista che viene dal futuro. Quale pensi che sia il filo conduttore che lega tutti gli eventi che racconti?
È curioso, perché da un lato è una specie di punto di vista dell’autore di Europeana, della voce narrante, dall’altro è proprio quella di un esterno. È come qualcuno che trova una scatola nera che racconta, riporta, cose accadute in un tempo che sembra lontanissimo anche dalla voce narrante stessa.
Come una capsula del tempo?
Sì, è come se qualcuno a distanza di 200/300 anni che sia un uomo o una donna, un terrestre o un extraterrestre, trovasse una capsula del tempo in cui sono state conservate le più disperate ed emblematiche cose del 900. In realtà in questa lista c’è un punto di vista, perché una lista non è mai solo un elenco. Chi la compila decide in che ordine mettere le cose, governa le associazioni che portano da una cosa all’altra. Il catalogo è già un’interpretazione, e questa è un’operazione che ci mette di fronte a ciò che realmente sia la storia, e non un insieme ordinato di pezzi, non un puzzle. Ma un cumulo di cose in cui siamo noi ad essere chiamati a fare ordine, ed è quello che spero accada anche allo spettatore. Ora, senza spoilerare troppo quello che va in scena, io sono quello che mette insieme i pezzi in un dato modo.
Qual è il messaggio che speri arrivi allo spettatore?
Che ognuno è chiamato a fare la stessa cosa davanti alla storia. Tutti quanti siamo difronte alle news dei canali dei notiziari. La storia è come un rullo, non si ferma mai. Siamo noi ad essere chiamati a prendere una posizione. E che non è mai neutrale il gesto di parlare di cosa è accaduto. Ogni operazione di sguardo retrospettivo su ciò che siamo stati, sulla nostra stessa vita, è un’interpretazione. Volente o dolente prendiamo posizione riguardo alle cose, quindi tanto vale farlo consapevolmente.
Protagonista di questo spettacolo è il 900. Quale evento di questo periodo ti ha colpito di più?
Sono così tanti che è veramente difficile fare delle graduatorie, senz’altro la Shoah, e più in generale la politica di sterminio del diverso, di colui che non aderisce a determinati ideali del nazismo, che rimane qualcosa che non ha precedenti nella storia. La storia è ricca di violenze, genocidi e stermini però l’applicazione del sistema industriale di produzione allo sterminio è stata una novità assoluta. Questo si erge come monumento terribile di che cosa è il 900, di cosa siamo stati in grado di partorire. Il 900 poi è stato anche il secolo della costruzione di un’unità politica tra paesi che si sono sempre fatti la guerra, che si sono sempre sterminati tra loro come i paesi europei. La Prima guerra mondiale è senz’altro stato uno choc orribile per il mondo intero. C’è ahimè l’imbarazzo della scelta. Il male è stato una specie di corollario malevolo dell’ideologia industriale. La macchina di sterminio di massa dei nazisti, e le grandi speranze del secondo dopo guerra sono i lasciti con cui noi ancora oggi dobbiamo fare i conti. Io sono tra quelli che pensano che il 900 non sia realmente finito.
Come mai?
È successa una cosa importante sul finire del 900 e l’inizio del secolo successivo: la rivoluzione digitale. Una rivoluzione antropologica. Questo non vuol dire che quel secolo sia terminato, lo sarà quando avremmo deciso davvero di fare i conti con cosa è stato il nazismo e la ricostruzione successiva. Se non si acquisisce una piattaforma di valori condivisi su cosa è stato l’uno e l’altra, il 900 non può finire. Quando riusciremo tutti a condividere il valore dell’antifascismo forse avremmo fatto un passo fuori dal 900.
Come immagini che potrebbe essere Europeana tra cento anni?
Sarebbe divertente poterlo fare, ma ahimè credo che non ci sarò. Consiglierei ogni 100 anni di fare questa operazione, anche se credo che saremo costretti a farlo un po’ prima, per via della rivoluzione digitale. Europeana funziona un po’ come un ipertesto, costringendo a fare determinati conti con maggiore frequenza. Quindi credo che il prossimo Europeana bisognerebbe scriverlo entro il 2050.
Dimezzando l’arco temporale.
Sì, si innesca una accelerazione aspirale che porta a stringere i tempi.
Hai dichiarato di sostenere Elly Schlein, ti sono piaciute le sue prime uscite pubbliche?
Credo che per adesso stia lavorando bene, che i primi passi che ha mosso siano coerenti con la piattaforma di valori e intenzioni che ha esposto nella sua corsa per la segreteria. Secondo me è importante che il campo progressista si compatti. Così come è sano che si compatti quello conservatore, così la democrazia funzionerebbe meglio. È evidente che dall’altra parte si è fatto, piaccia o non piaccia, un lavoro estremamente efficace. Ora che questa efficacia si tradurrà in breve, media o lunga durata della credibilità del discorso di chi sta al governo adesso non lo può dire nessuno. Di sicuro Elly con la sua proposta è entrata in campo con un’opzione forte sulla possibilità di costruire aggregazione, anche tra le forze di opposizione, soprattutto per riguadagnare credibilità verso tutto l’elettorato disperso che abbiamo visto desolare, disertare, le recenti tornate elettorali. L’attenzione va posta non sul 40% delle persone che votano, ma sul 60% delle persone che a votare non ci vanno. Lì si trovano tanti giovanissimi. Io credo che la sua sia una di quelle voci che possono parlare efficacemente e concretamente con loro.
Cosa non apprezzi delle politiche del governo Meloni?
Io credo che siamo difronte a una personalità politica sicuramente notevole. Lo testimoniano anche le recenti scelte di buon senso dell’Europa. Non parlo di quello che determinati personaggi di governo hanno fatto recentemente. Parlo della linea, soprattutto in politica estera, della premier. Sono convinto che è responsabilità di chi guida la baracca quello che dicono o fanno gli altri. Non è possibile che uno dei primi dirigenti del paese usi un discorso di Mussolini, fra l’altro con l’aggravante di dire che non sapeva che quel discorso fosse relativo all’omicidio di Matteotti. Lì dimostri tutta quanta la vacuità di cui sei capace. Sarebbe necessario che per diventare dirigente di quel tipo, con quel tipo di responsabilità, qualche minimo di nozione storica bisognerebbe averla. Se scegli uno così è evidente che hai sbagliato, che in quella compagine una certa compattezza riguardo a certi valori storici manca. Quello che io non condivido assolutamente è il tentennamento nell’abbracciare i valori fondamentali della Costituzione. Piaccia o non piaccia la nostra è una Costituzione antifascista. Non condivido tutti i corollari della mancata accettazione di questo, e l’intenzione sempre estremamente arrogante e supponente di sindacare sulla disperazione altrui.
Ti riferisci all'immigrazione?
Sì, perché alle persone che arrivano qui con viaggi della speranza attraverso il Mar Mediterraneo non si può fare la morale su quanto siano rischiosi questi viaggi. Se uno si mette a farli sa bene a cosa va incontro, e li fa perché non può farne a meno. Bisogna proprio cambiare paradigma se si vuole stare al passo con il tempo, altrimenti non si va lontano, almeno in termini umani. A un afgano che scappa dai talebani non si può dire vieni in Italia in maniera regolare, non può farlo. Pur avendo magari le risorse per acquistare un biglietto aereo non può scappare da un regime che controlla chi si allontana dal paese, come fa? Bisogna affrontare questo tema con buonsenso, senza essere lasciati soli dall’Europa, ma anche con uno spirito umanitario che non spinga a dire “eh beh però il viaggio è rischioso”. Quanti italiani sono scappati dal nostro paese in passato?
Tu sei testimonial di UNHCR, agenzia ONU per i rifugiati.
Da molti anni. È in grado, e lo dimostra quotidianamente, di dialogare con qualunque tipo di governo, sia di destra che di sinistra, a patto che ci sia il riconoscimento di determinati criteri umanitari. Io credo che anche nel centro destra possano esserci le basi per fare un discorso umanitario in primis, e che poi si trasformi in discorso di logica virtuosa di interesse del nostro paese stesso. Perché le persone che scappano da determinati contesti possono anche diventare una risorsa per noi. Bisogna cercare di fare le cose con criterio. Il corridoio umanitario piace a tutti, UNHCR ne gestisce molti e meravigliosamente funzionanti, con tanti atenei nel nostro paese. Io li ho visti in azione, in Etiopia dove ho viaggiato con loro in missione. Però costruire corridoi umanitari significa andare oltre i luoghi comuni riguardo l’immigrazione, e in generale l’emergenza rifugiati. Non si tratta di scampagnate per divertimento, la gente va via perché non ce la fa, perché altrimenti morirebbe nel posto in cui sta. Questo dovrebbe essere sufficiente.
Qual è il ruolo della vita che speri un giorno ti propongano?
Mi auguro di riuscire a fare, prima di diventare troppo anziano, Il principe di Homburg, il mio testo preferito.
Hai in cantiere qualche progetto?
Si, però per adesso niente di sufficientemente concreto da poterne parlare. Per qualche tempo il teatro sarà l’elemento su cui costruire i calendari. Ho avuto una grande esposizione soprattutto televisiva negli ultimi anni, adesso è tempo di tirare un po’ il fiato e lavorare bene su nuove proposte teatrali. Per me Europeana è stato un passaggio fondamentale per individuare la direzione in cui mi interessa andare per il futuro.
Ci sarà Sopravvissuti 2?
Vedremo, stiamo tutti aspettando che ci si diano notizie. Credo che la serie debba ancora andare in onda in Francia e Germania poi si capirà.
C’è una domanda che non ti fanno mai e che invece ti piacerebbe ti venisse fatta?
Nessuno mi chiede mai “come stai?”. Comunque, sto bene.
Nulla a proposito di musica, letteratura o politica?
Sulle passioni musicali, forse. Soltanto perché così potrei prendermi un po’ di tempo per sproloquiare sui miei gusti.
A noi puoi confessare i tuoi artisti o gruppi preferiti.
Sono cresciuto a Nirvana. Diciamo che il disorientamento difronte ai paesaggi sonori attuali è forte. Anche questo è un segno dei tempi. Io ascolto anche tanta musica di oggi, pop contemporaneo, credo che sia necessario conoscerla, perché sennò si interrompe il dialogo tra le generazioni. Consiglio a tutti qualche dose di trap al giorno e di non rimanere nella propria torre d'avorio.