Non c'è riuscita l'Unione europea. Hanno fallito le petromonarchie del Golfo e pure gli Stati Uniti, grandi alleati, partner e sponsor politici di Israele. Persino Donald Trump, uno che non apprezza proprio essere ignorato, ha visto i suoi avvertimenti a Benjamin Netanyahu cadere nel vuoto. Hai voglia che chiedere a Tel Aviv di cambiare registro nella Striscia di Gaza, di bloccare quello che l'Onu e la comunità internazionale hanno ormai iniziato a chiamare genocidio, di smetterla di uccidere civili innocenti vittime collaterali della crociata contro Hamas, di invitare a un cessate il fuoco per risolvere la faccenda a colpi di negoziati. Bibi è un treno che non intende fermarsi di fronte a niente e nessuno. L'obiettivo dichiarato è quello di sradicare Hamas da Gaza, quello ufficioso - sussurrano alcuni - di prendere il controllo della Cisgiordania e della Strscia, trasformando quest'ultima in una specie di riviera turistica infarcita di hotel di lusso, casinò e resort vista mare. Viene da chiedersi perché la cosiddetta “comunità internazionale”, e cioè il gruppetto di governi occidentali più potenti del pianeta, sempre attenti a ricordare l'importanza dei diritti umani, della democrazia e della libertà quando ci sono di mezzo Cina, Russia e autocrazie varie, non abbia ancora mosso un dito per arginare la furia distruttrice delle Forze di difesa israeliane. Si, certo, qualche governo europeo ha preso le distanze da Netanyahu ma, forse a eccezione della Spagna, ogni dichiarazione effettuata è servita più per fini elettorali e politici interni che non per una ferma volontà di fermare Tel Aviv.

Quindi perché nessuno è riuscito a stoppare Israele? Lo ha spiegato bene un'inchiesta de L’Espresso. In poche parole Tel Aviv si è trasformata in una potenza digitale centrale per l'Occidente grazie a un ecosistema tecnologico strettamente legato ai settori militare e dell'intelligence. Il Paese fornisce software e infrastrutture critiche usate da governi e istituzioni europee per contrastare estremismi e terrorismo. Solo che questa cooperazione vantaggiosa si sarebbe trasformata in una Spada di Damocle che impedirebbe i governi occidentali – in primis quelli europei – di attaccare Israele. La posizione strategica assunta dallo Stato ebraico grazie a un simile rapporto di forza gli consentirebbe di esercitare un'influenza silenziosa ma incisiva su chiunque volesse mai rompergli i cog*ioni. E non è un caso, forse, che molti Paesi esitino a criticarne le politiche; da un lato, senza dubbio, per non compromettere l'accesso a strumenti digitali essenziali per la sicurezza nazionale, ma dall'altro per paura che certe informazioni riservate nelle mani israeliane possano essere utilizzate contro di loro. “Negli ultimi vent'anni Israele è diventato la “cassaforte informatica” dell'Occidente: è nei software israeliani che girano, si archiviano e si proteggono alcune delle informazioni più sensibili di governi, ministeri, forze dell’ordine e servizi segreti europei”, si legge sul settimanale italiano.

La suddetta protezione incarnata dai software Made in Israel, in certi casi, può trasformarsi in spionaggio vero e proprio. Il caso più emblematico è quello di Pegasus, uno spyware sviluppato dalla società israeliana Nso Group che sarebbe teoricamente dovuto servire per contrastare, monitorare e intercettare terroristi e criminali di alto profilo. Ma che nei fatti si è trasformato in uno strumento utilizzato da diversi attori per sorvegliare illegalmente giornalisti, attivisti e politici, sollevando gravi preoccupazioni su abusi e violazioni della privacy. Ecco, questa pare essere soltanto la punta di un iceberg molto più grande. Pensate, per esempio, che i fondatori e i dirigenti di numerose startup e aziende hi-tech specializzati nella creazione di software di sorveglianza, profilazione e controllo di dati altamente sensibili, poi venduti e impiegati dai governi occidentali, provengono spesso dal reparto d'élite del Mossad per la cyber intelligence, ossia dall'agenzia di intelligence e spionaggio di Israele responsabile delle operazioni all’estero. Numerosi Paesi che non hanno attaccato duramente Israele usano prodotti del genere per gestire report top secret e informazioni delicatissime. “Se volessero, gli israeliani avrebbero la mappa completa delle vulnerabilità digitali dell’intero continente europeo [...] E questo basta e avanza per tenere tutti i governi occidentali in silenzio”, si legge sull'Espresso. Anche il governo italiano? Sappiamo che alcune procure italiane, reparti speciali e alcuni rami dei servizi si affidano a piattaforme israeliane. Per far cosa? Gestire dati d'indagine, intercettazioni, riconoscimenti biometrici e altre attività riservate. Basta unire i puntini e capirete perché nessuno, al di là di qualche frase di buon senso, vuole attaccare Israele.
