Avete presente la Global Sumud Flotilla? Ecco, sappiate che dalla Turchia è appena partita una seconda flottiglia di circa 45 imbarcazioni. Sventolano bandiere turche e palestinesi e, al grido di “Palestina libera” vogliono rompere il blocco su Gaza. Ovviamente faranno la stessa fine dei loro più noti colleghi. Verranno presi in consegna dall'esercito israeliano, arrestati e rispediti a casa. C'è però un aspetto non secondario da considerare: parliamo di un'iniziativa che, seppur ufficialmente slegata dal governo di Recep Tayyip Erdogan e coordinata da piattaforme civili, è comunque legata alla Turchia. E cioè all'unico Paese degno di nota che si è scagliato violentemente contro Israele e Benjamin Netanyahu. Cosa vuol dire tutto ciò? Semplice: che in caso di incidente diplomatico c'è il rischio di assistere a un'escalation tra Ankara e Tel Aviv. Ma forse, a pensarci bene, è proprio questo che cerca la Turchia: un incidente diplomatico - ma bello grosso! - con Israele che venga raccontato dai media internazionali e, soprattutto, che faccia esaltare la figura di Erdogan. Ossia, dal suo punto di vista, l'unico leader veramente interessato alla causa dei “fratelli” palestinesi.

Del resto chiunque ha parlato della prima Flotilla, seguendone le gesta in tempo reale, raccogliendo le dichiarazioni degli attivisti a bordo delle navi e alimentando nell'opinione pubblica globale ancora più astio nei confronti del governo Netanyahu. La Flotilla turca potrebbe quindi replicare lo stesso successo della precedente, aggiungendo in più il peso del governo turco. C'è addirittura chi ipotizza che gruppi di pressione più o meno vicini a Erdogan possano in qualche modo aver sostenuto l'iniziativa della Global Sumud Flotilla; supposizioni plausibili ma destinare a restar tali. Sarà in ogni caso interessante capire come farà Ankara a gestire questo gioco potenzialmente esplosivo. Già, perché basta una scintilla e c'è il rischio che la Turchia possa essere il prossimo nemico di Israele, dopo una lista abbastanza lunga di Paesi arabi e islamici colpiti da missili e droni di Tel Aviv. Certo, c'è una differenza non di poco conto da tenere bene in considerazione, e questo Erdogan lo sa bene: la Turchia fa parte della Nato (vi dice niente l'articolo 4?) e ha il secondo esercito più forte dell'Alleanza Atlantica dopo quello degli Stati Uniti.

Ecco, Erdogan sa bene di avere un doppio scudo che lo mette a riparo da eventuali reazioni di Israele e sta quindi giocando la sua partita. Una partita che, come premio finale, potrebbe assegnare al Sultano l'immagine di unico leader globale che si è spinto fino al limite per sostenere la causa palestinese. Poco importa se le navi turche e le minacce di Ankara non fermeranno Netanyahu: l'importante, per Erdogan, è accreditarsi come difensore di Gaza agli occhi dei popoli arabi e del mondo islamico, e incrementare così l'influenza della Turchia sullo scacchiere globale. Non solo: il presidente turco ha sempre un conto aperto con l'Unione europea. Vi ricordate quando Mario Draghi lo definì dittatore? E vi ricordate quando noi, intesi come europei, riempivamo di soldi Erdogan incaricandolo di bloccare il flusso di migranti che dalla Siria e da mezzo Medio Oriente puntavano verso l'Europa? La Turchia se lo ricorda bene e vuole tornare a essere un rivale indispensabile per Bruxelles. Anche perché i turchi hanno capito che non entreranno mai nell'Unione europea. Per questo continueranno a spremerla, indebolirla diplomaticamente e ridicolizzarla ogni volta che sarà possibile. Tanto più, come nel caso del dossier palestinese, se questo dovesse allo stesso tempo rafforzare il prestigio internazionale di Ankara...
