Salvatore Montefusco è stato condannato a 30 anni, non all’ergastolo, per il duplice omicidio della moglie Gabriela Trandafir e della figlia di lei, Renata, avvenuto il 13 giugno 2022. La prima aveva 47 anni, la seconda 22. La Corte d’Assise di Modena ha riconosciuto le attenuanti generiche al settantaduenne “perché incensurato, per la sua confessione, per il contegno processuale e per la situazione che si era creata in famiglia che lo ha indotto a compiere il gesto”. Nelle motivazioni viene sottolineato come Montefusco “non avrebbe mai perpetrato delitti di così rilevante gravità se non spinto dalle nefaste dinamiche familiari che si erano col tempo innescate”, aggiungendo anche che “La situazione che si era creata nell’ambiente familiare lo ha indotto al tragico gesto, compiuto per motivi umanamente comprensibili”. La sorella di Gabriela, Elena, parte civile nel processo, ha commentato la sentenza: “L’ergastolo lo abbiamo avuto noi, non lui. Spero che presto venga fatta giustizia e che venga alla luce tutta la verità su questa vicenda. Mia sorella e mia nipote, che aveva soltanto 22 anni, devono avere giustizia, speriamo ora nella sentenza d’appello. Con il verdetto di primo grado sono state uccise una seconda volta”. Sulla stessa linea anche Barbara Iannuccelli, la legale della famiglia: “Una sentenza che ci riporta all’omicidio di Olga Matei nel 2016, quando la corte d’appello dimezzò la pena perché l’assassino venne ritenuto in preda a una tempesta emotiva per la sua gelosia”. L’omicidio è avvenuto sotto gli occhi del figlio minorenne. Un insieme di elementi che per Iannuccelli che non può “giustificare il mancato ergastolo. Siamo increduli. Il messaggio che si manda attraverso questa sentenza è ‘uomini, se vivete una situazione conflittuale potete eliminare il vostro problema a colpi di fucile che lo Stato vi capirà’”. I giudici della procura di Modena hanno escluso la premeditazione, i motivi abietti e futili e la crudeltà. I maltrattamenti denunciati da Gabriela, poi, sarebbero stati “assorbiti” nell’omicidio. La tensione tra le donne e Montefusco non può, sempre secondo i giudici, essere ridotta al “mero contenuto economico”, ma da valutare insieme alla “condizione psicologica di profondo disagio, umiliazione e enorme frustrazione vissuta dall’imputato, a cagione del clima di altissima conflittualità”. Tutte cause del “black out emozionale ed esistenziale” sfociato nel duplice omicidio. In queste ore un'altra sentenza, di un caso di cronaca differente, è stata emessa.
Alex Cotoia è stato assolto nel processo di appello bis per l’uccisione del padre con 34 coltellate, avvenuta il 30 aprile del 2020. Un gesto che il ragazzo ha compiuto, secondo i giudici, per difendere la madre dalla violenza dell’uomo. La corte di Torino ha confermato quando deciso in primo grado, riconoscendo a Cotoia la legittima difesa. In appello, invece, la condanna era a sei anni per omicidio. Dopo la sentenza Cotoia ha parlato così: “Sono ancora frastornato. Quando i giudici hanno letto la sentenza mi sono voltato verso i miei avvocati perché non sempre capisco cosa viene detto in queste aule. Ora devo metabolizzare, io metabolizzo sempre dopo. Festeggerò con Zoe, la mia cagnolina”. E ancora: “Non avevo aspettative, mia mamma e mio fratello erano super agitati. Adesso saranno felicissimi, immagino. Spero solo di tornare alla normale quotidianità, niente di speciale. Il proseguimento degli studi e trovare il mio posto nel mondo, che sia in Italia o all'estero”. Anche l’avvocato di difesa Claudia Strata si è espresso sull’esito del processo: “È una gioia indescrivibile. Spero che questa pronuncia, autorevolissima, metta fine alla vicenda”. La madre