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Ma chi se ne frega della personal shopper, a Schlein va chiesto di quel che dice e di quel che non dice

  • di Alessio Mannino Alessio Mannino

28 aprile 2023

Ma chi se ne frega della personal shopper, a Schlein va chiesto di quel che dice e di quel che non dice
L’onda mediatica e social montata sulla consulente “armocromista” per l’abbigliamento di Elly Schlein rappresenta il classico caso di distrazione di massa: mentre si parla per giorni di un aspetto di marketing che caratterizza tutti i politici-influencer, alla segretaria del Pd non si chiede conto delle supercazzole e dei vuoti che la rendono un personaggio ambiguo. E, almeno finora, deludente

di Alessio Mannino Alessio Mannino

Compagni personal shopper di tutto il mondo, unitevi! Siete voi, come l’Enrica Chicchio consulente armocromista di Elly Schlein, la frontiera del raffinatissimo pensiero ispiratore dei politici che sanno stare sul pezzo, globali, aggiornati, scafati. Voi, la punta modaiola della foltissima schiera di esperti di marketing (social marketing, visual marketing, brand marketing, voice marketing, neuro marketing), questo movimento di api operaie intente a infondere l’anima del commercio, la Pubblicità, alle parole d’ordine un po’ decrepite del proletariato che fu – tipo l’Uguaglianza, che è davvero una faticaccia tenere al passo coi tempi. E se vi fate pagare il giusto, quei 140 euro più Iva all’ora per la scelta dei colori dei vestiti, o 300 per fare shopping, che assieme fanno due terzi dello stipendio medio base di un mese che si suda un rider in bicicletta, significa che almeno voi, la battaglia per il salario minimo l’avete vinta. E ciò nonostante, generosamente offrite le vostre competenze per individuare l’armocromìa corretta a una leader del Pd finalmente à la page, ossia “colori freddi, contrastanti, saturi”, così che il sol dell’avvenir riscaldi, così, a occhio, le masse assetate di giustizia sociale.

Enrica Chicchio
Enrica Chicchio, la personal shopper di Elly Schlein

Ok, sfogato l’obbligato sarcasmo per una Elly Schlein nuova promessa di un Pd di sinistra (sapete, il Lavoro prima del Capitale e altre cose così, dure, di sostanza, di lotta di classe, si dovrebbe dire per dirla bene), veniamo al punto. L’errore politico della segretaria di una forza che vorrebbe riposizionarsi nettamente nel mercato dei partiti non è di avere alle spalle chi cura la sua immagine, perché ogni politico si fa consigliare su come rendere al meglio i messaggi che intende veicolare, e questo dai Sumeri in poi. La caratteristica del nostro tempo, dopo sessant’anni e fischia dall’avvento della tv e vent’anni buoni di dominio della Rete, è che oggigiorno il politico è diventato un influencer. Con lo strapotere dei social media, il canale privilegiato per il contatto diretto con il popolo è da anni costituito dalla batteria di Instagram, Facebook, Twitter, Linkedin, Twich eccetera. I media generalisti, o mainstream, hanno ancora il loro peso ma ridotto, rispetto al passato, e devono interagire con la grancassa, molto più rapida o, come si dice, virale, del flusso social, dove il linguaggio è meno mediato perché è im-mediato, quindi più elementare, più diretto, più contaminato dall’immaginario pop e anche, specie attraverso i meme, più ironico, più straniante, più cringey. La legge della comunicazione sentenzia che ciascun soggetto, e ciascun contenuto, deve indirizzarsi a un target ben identificato.

Elly Schlein
Elly Schlein al corteo di Milano per la festa del 25 Aprile

Ecco: qual era il target a cui voleva arrivare la Schlein, concedendo la sua prima intervista da neo-segretaria a una rivista come Vogue Italia, e per giunta svelando quel che è ovvio ci sia, ma che non sta bene comunicare proprio il 25 Aprile, mentre era in piazza col fazzoletto rosso da partigiana al collo, e cioè che si avvale dei remunerati servigi di una personal shopper? Parlava esclusivamente ai lettori di una testata che si preoccupa di chiederle se crede nel “power dressing”, cioè di una fetta di popolazione presumibilmente non angustiata da problemi come lo “sfruttamento” e il “precariato”, che nelle sue risposte la stessa intervistata enuncia come proprie massime preoccupazioni? Non sarebbe stato il caso di esordire da un’altra parte, evitando di rovinare il quadretto di “giustizia sociale e climatica”, “dignità del lavoro” e “uguaglianza di diritti” parlando del proprio outfit? O che sia stato frutto di una scelta strategica, uscire su un giornale che si occupa di moda, e che prevedibilmente sarebbe andato a parare su temi che fanno a pugni con la gravitas della Festa della Liberazione? Ma che strategia sarebbe, quella di rivolgersi per primo a un pubblico che, probabilmente, o già vota Pd perché molto liberal, molto moderno, molto chic con una spruzzatina di radical, o voterà, a naso, Renzi o Calenda se non la destra e morta lì? Oppure era una mossa tattica, per acchiappare in edicola, nella stessa giornata, lo share che non andava neppure mentalmente in piazza, a cantare Bella Ciao, mentre fisicamente lei ci andava, cantava di buona lena e presidiava due spazi mediatici in contemporanea?

Alessandro Zan
Alessandro Zan (Pd)

Tuttavia, ciò detto, al cittadino le faccende che realmente interessano, che lo premono, che decidono della sua vita sono quelle che la Schlein finora ha trattato solo con formulette che dicono tutto e non dicono nulla. Cosa significa “giustizia climatica”, per esempio? Oppure, quando sostiene di voler lottare contro la precarietà lavorativa, in quale modo vorrebbe di preciso affrontarla e risolverla? E il famoso salario minimo, a quali condizioni? E i diritti, detti così, genericamente, se sono sociali, ovvero collettivi, sono un conto (ad esempio, i diritti riguardanti una determinata categoria di lavoratori), se sono individuali (il matrimonio gay, che lo schleiniano Alessandro Zan ha rilanciato nell’ultima proposta di legge depositata in parlamento), sono un altro conto. Ebbene, per la Schlein vanno in coppia. E sia. Ma con quale priorità? Perché la politica è fatta anzitutto di tempi, di dosaggio, di agenda. Ma del resto, le supercazzole in perfetta continuità col passato in cui ha già abbondato la segretaria della “svolta”, dal sì alle armi in Ucraina al sì all’inceneritore di Roma, sono lì a dimostrare che è l’ambiguità il suo marchio distintivo, a voler esser buoni. Un’ambiguità che ha la radice nell’inerzia sostanziale all’interno del Partito Democratico, un partito di potere e di establishment a tutti i livelli (anche locali, vedasi, per fare un esempio di cui, a MOW, abbiamo scritto, gli intrecci in Sicilia con il “mondo di mezzo” masso-mafioso, senza nulla togliere a quello originale, chissà se estinto, che proliferava nella Capitale). I fan replicheranno che bisogna darle tempo, che ha appena rinnovato il vertice mettendo i suoi, e che difatti qualche iper-moderato ha alzato i tacchi. Ma è sull’inconsistenza delle idee e delle proposte, apparentemente “nuove” per distacco minimo da Bonaccini, che la Schlein andrebbe messa sotto torchio. Altrimenti, tocca prenderla in giro sugli abbinamenti fra giacca e pantloni, sul “trench sartoriale” da preferire all’“eskimo”. Sì, la soluzione del rebus è questa: ha optato per Vogue perché sapeva che su quelle colonne se la sarebbe cavata dicendo quel che sa dire benissimo. Cioè niente. Ma chi lo sa, nel nichilismo imperante può essere pure che, nei sondaggi, la collaudata tecnica dell’arma di distrazione di massa paghi. Magari di uno zero virgola. Buttalo via.

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