Nel teatro surreale della geopolitica moderna, capita che l’epicentro di un potenziale conflitto planetario si sposti per qualche ora a Modena, tra il profumo del Parmigiano Reggiano e l’eco del rombo delle Ferrari. Sì, perché in una di quelle sovrapposizioni di eventi che fanno impazzire gli algoritmi della razionalità, Ivanka Trump – figlia del presidente Usa Donald che nel frattempo si sta occupando della tregua Iran-Israele – è apparsa con passo deciso e cappellino calato “poco dopo le 20” all’Hotel Rua Frati di Modena, una delle più raffinate strutture del centro storico, ricavata da un palazzo rinascimentale accanto alla chiesa di San Francesco (Resto del Carlino).

Ivanka non era sola: al suo fianco, come da copione politico-familiare, Jared Kushner, marito e influente ex consigliere della Casa Bianca, e una trentina di altre persone al seguito – tra guardie del corpo, funzionari, assistenti, e personale di servizio. Il tutto, naturalmente, con un contorno hollywoodiano di auto blindate e protocolli di sicurezza da film di Soderbergh (Corriere della Sera).
Perché Modena? E soprattutto: perché proprio adesso?
Domanda lecita, visto che il mondo stava – e sta – trattenendo il respiro per le tensioni tra Stati Uniti e Iran, una situazione definita dallo stesso Carlino come “gravissima escalation militare" assieme alle ripercussioni economiche, tra cui il caro-carburante. In questo contesto, anche i “movimenti della famiglia presidenziale americana vengono monitorati con un’attenzione fuori dal comune”, come osserva con notevole understatement il quotidiano emiliano.
Eppure eccoli lì: i Trump junior, in un soggiorno italiano pianificato per partecipare al matrimonio dell’uomo più ricco della Terra, Jeff Bezos, che sabato si sposerà a Venezia in un evento che promette di paralizzare parte della Laguna (Corriere della Sera).

Il soggiorno modenese era, sulla carta, una semplice tappa di relax. Ma nel mondo dell’alta diplomazia – o del suo surrogato glamourizzato – nulla è mai solo ciò che sembra. È sufficiente il contesto: Ivanka si muove con cautela, “occhiali neri, cappellino scuro calato sul volto e passo deciso”, senza degnare la stampa di una parola, “complice anche la delicatezza della situazione internazionale” (Resto del Carlino).
Ma veniamo all’elemento più surreale – e simbolicamente irresistibile – di tutta la faccenda: le Ferrari. Dodici fiammanti supercar parcheggiate davanti al Rua Frati 48, immortalate da fotografi e passanti, in un via vai da red carpet blindato. Pareva un omaggio della casa di Maranello a Ivanka; invece, mera coincidenza: “un tour organizzato dal Ferrari Club di Hong Kong ha portato 24 turisti orientali nel luogo di origine dell’auto al centro delle loro passioni” (Corriere della Sera).
I due gruppi – i figli del potere globale e i pellegrini del lusso automobilistico – condividevano inconsapevolmente programma e hotel: visita alla sede Ferrari di Maranello, nottata tra lenzuola da cinque stelle, e ripartenza alla volta della Toscana, poi Venezia. Una coincidenza che più emblematica non si può: l’intreccio tra potere politico, tecnologia, soldi e simboli culturali dell’eccellenza italiana, tutti messi in scena nel teatrino di una crisi mondiale.
Così, mentre la stampa si accalca sotto il sole, e la Digos sorveglia ogni angolo del centro, la figlia di uno degli uomini più controversi d’America si concede una gita d’alta gamma “per pensare a qualche acquisto” tra le meraviglie della Ferrari.