Monte dei Paschi di Siena (Mps) si lancia su Mediobanca con un’offerta pubblica di scambio (ops) da 16,6 miliardi e incassa il via libera della Banca centrale europea. Il piano portato avanti dall’ad Luigi Lovaglio è in dirittura d’arrivo: prevede un aumento di capitale da 2,5 miliardi, la raccolta di tutta la documentazione da inviare alla Consob, e l’ok, ormai quasi assicurato, dell’Antitrust europeo sulla Concorrenza. A sorprendere è l’atteggiamento di Francoforte, sede della Bce, che non impone soglie minime ma chiede vigilanza: aggiornamento del piano industriale, governance allineata, monitoraggio stretto sulla solidità patrimoniale. Un semaforo verde, sì, seppur con qualche faro ben puntato addosso. Intanto, da Roma qualcuno batte le mani: il ministro dell’Economia Giorgetti benedice l’operazione, Salvini applaude, il Tesoro dichiara di voler restare “neutrale”. Ma la regia pubblica pare evidente, nonostante non machino i dubbi sulla fattibilità di un'operazione portata avanti da un soggetto ancora ben allacciato al paracadute dei fondi statali. Come ha spiegato Daniele Manca su Milano Finanza, citando una stima di Unimprese, dal 2012 a oggi il salvataggio di Mps è costato 12 miliardi di euro di fondi pubblici e 8 dai privati. “Come fa una banca che è stata salvata a lanciare un’offerta su Mediobanca? “, si chiede Manca. L’obiettivo è trasformare Mps da eterno sorvegliato speciale in protagonista del risiko bancario, quel consolidamento del credito italiano che da anni si sussurra nei corridoi senza mai affondare il colpo. E se il polo Siena-Milano dovesse davvero nascere, cambierebbe gli equilibri in profondità.

Dall’altra parte, Piazzetta Cuccia non sta a guardare. Mediobanca aggiorna in fretta e furia il piano industriale al 2028, punta tutto su dividendi generosi e gioca la carta della stabilità per evitare scossoni. Ma tra i grandi soci il silenzio è solo apparente. Delfin – holding della famiglia Del Vecchio – osserva, l’imprenditore romano Francesco Gaetano Caltagirone studia, e se l’offerta dovesse rivelarsi appetibile, potrebbero anche benedire il matrimonio. Il mercato nel frattempo fiuta l’incertezza: il concambio penalizza Mediobanca e già si vocifera di una possibile revisione con una parte cash per addolcire la pillola. Intanto su binari per ora paralleli infuria il caso politico-legale: la cessione-lampo da parte del Tesoro del 15 per cento di Mps a fine maggio — a ridosso dell’ops — ha fatto drizzare le antenne a Consob, a Bruxelles e ora pure alla Procura di Milano. Si indaga su trasparenza, tempistiche e possibili scorrettezze di mercato. Più che una svista, sembra un autogol istituzionale che rischia di inquinare l’intera operazione.

La partita è quindi tutt’altro che chiusa. Mps deve ancora raccogliere quasi 700 milioni per chiudere l’aumento e convincere il mercato che l’ops porterà benefici veri, non solo teatrini finanziari. Perché il titolo resta debole, l’offerta fatica a decollare e i dubbi su sinergie industriali e governance futura si moltiplicano. Nel frattempo, Mediobanca ha congelato ogni mossa su Banca Generali: segno che i piani stanno saltando e che Siena ha rotto l’equilibrio. Nessuno può più restare fermo. Da qui a fine estate, lo scenario bancario italiano rischia di essere completamente ridisegnato. Le dichiarazioni rassicuranti lasciano il tempo che trovano. Il risiko è davvero nel cuore. E questa volta la partita si gioca nei consigli d’amministrazione e negli incontri privati, dove potrebbe cucinarsi qualche altra sorpresa.