In Italia la pesca, detenzione e commercio dei datteri di mare è vietata dal 1998. Ma basta fare un giro sul web, come ha mostrato Striscia la notizia, per scoprire che il divieto non basta a fermare la domanda. Blog di viaggi, riviste di settore e tour operator pubblicizzano infatti cene e ristoranti in Albania dove questa prelibatezza, illegale sia in Italia che nel Paese delle Aquile, viene servita con orgoglio.
“Per cena ci regaliamo un bel ristorante, dove mangiare una prelibatezza come i datteri di mare proibiti in Italia ma vanto di ogni ristorante come si deve da queste parti”: recita così un sito di viaggi molto frequentato, con decine di recensioni entusiastiche firmate da turisti italiani.
Ma dietro questa “gita gastronomica” si nasconde un problema ben più serio. Lo spiega a Striscia la Notizia Silvestro Greco, docente di ecologia marina all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (Cn): “I datteri di mare sono una delle specie più delicate dell’ecosistema marino, possono arrivare a vivere fino a cento anni, hanno questa caratteristica di scavare nella roccia calcarea. Per essere pescati, viene provocata la distruzione letterale degli ambienti marino-costieri.”

Un danno irreparabile, che non ha confini. Per questo, sottolinea ancora Greco, “sono da sempre protetti sia dall’Unione Europea che da Paesi come l’Albania, il Montenegro, l’Algeria e il Marocco”. Eppure, le tavole continuano a riempirsi. E il traffico illegale trova sempre nuove strade. A confermarlo è un ristoratore albanese intervistato sotto anonimato: “CostaOgni italiano che viene qua lo vuole assaggiare. no 80, 100 euro al chilo. Ogni dattero arriva dalla Grecia: ci sono albanesi o greci che li portano con gli autobus e li mettono dove c’è il formaggio, in maniera clandestina.” Quando gli si chiede della legge, risponde con un mezzo sorriso: “La legge è uguale come in Italia, ma in Albania trovano il modo.”
Un modo illegale, certo, ma spesso ignorato o addirittura giustificato da chi, in nome della “tradizione” o della “curiosità gastronomica”, continua a chiudere un occhio. Anche quando il prezzo non è solo economico, ma ambientale.
