Perché Roberto Saviano sembra sempre incazzato? Parafrasando il Pippo di Andrea Pazienza, che sembrava sballato perché era sballato, lo scrittore di Gomorra è al contrario: sembra incazzato perché non lo è. “Mi offendo quando mi descrivono come triste. Faccio un sacco di cose divertenti.” Roberto Saviano, ospite da Alessandro Cattelan a Supernova, mette subito in discussione la narrazione pubblica che lo accompagna. E per farlo racconta un aneddoto con Fabio Volo: “Quando ci incontravamo in aereo, la gente ci chiedeva i selfie. Lui diceva che non potevamo, perché lui sorrideva mentre io dovevo per forza rimanere serio.” Certo, tutte le foto in cui appare sempre pensieroso, preoccupato e con la mano in testa non aiutano, però anche Saviano passa il tempo come la gente normale: “Cerco le cose strane sul web, specialmente quelle napoletane. Baby shower, diciottesimi, cresime, comunioni. Mi fanno sentire a casa, io in quella roba ci sono cresciuto.”

Un mash-up tra Gomorra e Il Castello delle Cerimonie: una realtà che Saviano conosce molto bene, anche a causa della sua esperienza come assistente del fotografo Mario Spada: “Andavo con lui a vedere i matrimoni a Scampia. Anche quelli di mala sono momenti bellissimi, in cui senti di essere dentro a qualcosa di autentico.” Poi aggiunge, tornando ai passatempi: “Tra quelli che mi fanno più ridere c'è Gigione. È un personaggio pazzesco.” Per chi non lo conoscesse, è un cantante trash in stile Leone di Lernia. Due titoli? Trapanerella e Coscia longa. Quando il discorso si sposta sul mondo del cinema, il tono cambia: dalla comicità alla taccagneria. “Quando abbiamo vinto l'Orso d'argento a Berlino, con La Paranza dei bambini, lo prese Claudio Giovannesi. Io dissi che sarebbe piaciuto anche a me averlo, ma l'organizzazione voleva farmelo pagare. A quel punto rinunciai, ma il produttore me ne fece avere una copia.” E aggiunge: “Il problema dei premi è che poi generano una grossa invidia. Nel mondo del cinema è tutto finto, sono tutte amicizie di facciata, tutti odiano tutti.”

Poi il racconto dell’incontro con Philip Roth. “Eravamo lì sul divano, ci facciamo una foto e lui mi fa: se la posti poi la mafia mi uccide? Io gli dico: non credo proprio. E lui: peccato, mi tocca morire di vecchiaia, che schifo." E ancora: "Hai un grande pubblico, ma nessuno può invidiare la tua vita di mer*a.” Invidia: una qualità tutta italiana? Saviano, per spiegare la mentalità del Bel Paese, introduce il concetto tedesco di Schadenfreude, per cui il piacere della sconfitta altrui è superiore a quello della propria vittoria. “La sua massima espressione è il Palio di Siena, dove l'importante non è vincere, ma far perdere gli altri. Puoi fare di tutto: corrompere il fantino, buttarlo giù. Tutte le regole sono possibili.” Tutto molto italiano, come la mafia? Cattelan gli chiede quale sia oggi il Paese con più morti ammazzati, ma la risposta è spiazzante: “La Svezia. In questo momento è attraversata da conflitti violentissimi tra organizzazioni criminali mafiose.” E spiega: “Perché non si percepisce? Perché manca una letteratura. La mafia italiana è conosciuta, studiata e contrastata. La mafia russa, quella albanese, le organizzazioni francesi semplicemente non sono conosciute.”

