Roberto Minervini ha vinto il premio come miglior regia nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes nl 2024. Quest'anno partecipa nella stessa sezione come giurato. Che dire, il regista fermano, noto ed esperto documentarista adottato dagli States, aveva stregato la giuria presieduta dal favoloso Xavier Dolan con il suo primo lungometraggio di finzione: I dannati. Passano i mesi e si torna, ancora protagonisti. Pochi sanno, specialmente in Italia, quale sia stata la carriera di un grande regista come Minervini, da che parte risieda la forza del suo cinema. Al centro de I dannati, uno dei suoi ultimi lavori, c'è un episodio avvenuto a margini della Guerra di seccesione americana, in cui un gruppo di soldati confederati erano in attesa di un nemico invisibile. Minervini ha dichiarato di aver passato tanto tempo nei territori densi di conflitti e di aver concentrato l’attenzione sulla umanità di questi ragazzi mandati al massacro. Sul Quotidiano Nazionale: “Ragazzi che inevitabilmente pensano alla vita che verrà, ai loro sogni da raggiungere, alla pace. Raccontando questi ragazzi in attesa, che hanno un fucile ma non pensano ad uccidere, volevo allontanarmi da una rappresentazione 'muscolare' della mascolinità nei conflitti. Volevo ricreare un contesto intimo, mantenendo – in un film che parla di guerra – i punti fermi del mio cinema, quelli dell’attenzione alla realtà”.
L’interesse verso le questioni sociali poi tradotte in immagini folgoranti nei suoi lavori, e ancora la sua abitudine a dirigersi laddove nessun altro oserebbe mettere il naso, gli occhi, le labbra, così potrebbe tradursi la cinematografia del cineasta marchigiano che, su Left, lo scorso 7 giugno 2019, aveva raccontato all’educatore e appassionato cinefilo Marco Milozzi non solo del suo sogno poi sfumato negli anni, ma anche di una ricerca ben precisa adottata nei suoi lavori: “È un po’ come cercare le mie origini da altre parti avendo anche io un'origine popolare”. Antropologia e politica che s'accarezzano tra i sui film che diventano, per chi li guarda, come degli studi enormi, delle lenti sul mondo e gli uomini assurdi che lo vivono. Basta pensare a Che fare quando il mondo è in fiamme?, documentario in concorso alla 75esima edizione del Festival del cinema di Venezia, in cui Minervini ha indagato la storica organizzazione delle Black Panthers e il razzismo sistemico nei confronti della comunità afroamericana, spinosa e probabilmente mai risolta questione che il regista ha voluto analizzare frequentando quartieri inaccessibili di New Orleans, prendendo spunto da eventi violenti che, nell'estate del 2016, videro coinvolta un'intera comunità afroamericana di Baton Rouge in Louisiana. Se si parla di Minervini, non si può non nominare Ferma il tuo cuore in affanno presentato nel 2013 a Cannes e vincitore del David di Donatello l’anno successivo coome miglior documentario, film basato sulla rigida dottrina cattolica che domina la vita di una ragazzina in Texas. Insomma, ora che il suo nome risuona sempre più forte nel panorama del cinema internazionale, sarebbe tempo che anche il nostro Paese, l’Italia, gli aprisse davvero le porte, le sale, i cinema. Per accogliere i suoi film, e la potenza devastante della sua arte.

