Cos’è stato il Pride a Milano? Trecentomila partecipanti, nessuno scontro. Come noto, è una manifestazione pacifica con "carri" coloratissimi e discorsi all'Arco della Pace. Elly Schlein è apparsa in grande spolvero e ha ribadito dal palco: "In Italia rischiamo un pericolo di regressione sui diritti". Presente anche la Cgil, dove Luca Stanzione, il segretario di Milano, ha dichiarato: "Su tutti i temi è necessario aprire una riflessione nel Paese, provando a tenerlo unito senza caccia alle streghe, avendo a cuore la vita e i diritti delle persone". La politica ha mantenuto le sue posizioni con una certa coerenza. E retorica. È stato il mio primo Pride e ho affrontato, sotto un sole cocente, una parte della marcia. Arrivando alla location dell'evento, ho camminato a passo lento, prendendomi il tempo per fare considerazioni che non si basassero solo su ciò che ho letto sul tema negli anni. Intorno a me, non c'erano solo membri del movimento Lgbtq+: come ribadito da varie testate, un gran numero di coppie eterosessuali erano presenti per supportare la causa.
Sui "carri" o "trenini" ho potuto osservare una grande varietà di persone, felici e un numero indefinito di sponsor. Aziende come Coca-Cola ed Estée Lauder hanno deciso di diventare inclusive e di essere presenti. Questo è un segnale positivo: anche i colossi si schierano a favore della libertà personale. Tuttavia, mi chiedo se una manifestazione che lotta per i diritti civili debba accettare la sponsorizzazione di queste grandi multinazionali. Personalmente, fatico a vedere sincerità in queste prese di posizioni e mi sembra più un'opportunità di mercato che un vero impegno per i diritti civili. Tuttavia, riconosco che questa mia percezione può derivare dal mio scetticismo personale. Mi ricordo la Primavera araba in modo diverso: non ricordo il logo di Adidas dietro i manifestanti, né la "M" di McDonald's dietro la testa di Malcom X o Martin Luther King negli anni '50 e '60 negli Stati Uniti. È comprensibile che il Pride abbia dei costi, come ad esempio il noleggio dei camion utilizzati o il terrificante e scandaloso costo dell'occupazione del suolo pubblico. Tuttavia, siamo certi che permettere a realtà con valori così diversi dal Pride di sponsorizzare l'evento non tolga valore alla causa?
I "trenini" potrebbero essere meno appariscenti, ma forse risulterebbero più concreti e onesti. Voglio dire, si marcia per il riconoscimento delle famiglie omogenitoriali, non per il riconoscimento della Carrà in quanto essere superiore. È bello vedere l'impegno nel Pride, ma forse utilizzare un linguaggio più diretto e vagamente più sobrio, non sarebbe un modo di comunicare più efficace? La lotta per il riconoscimento della maternità surrogata, ha davvero bisogno di qualcuno che ribadisce con forza che vuole la libertà di andare al supermercato coi copricapezzoli di cartapesta? Ricordare al pianeta che le nostre tette per un lungo periodo sono antigravità è un punto davvero così fondamentale? Gruppi su gruppi di ragazzi e ragazze in mutande e reggicalze alle cinque di pomeriggio, non rischiano di venire percepiti come i cliché che una certa destra descrive e disprezza? Dall'essere eccentrici all'essere completamente fuori luogo e fuori contesto il passo è brevissimo. È stato scritto che al Pride di Milano sono accorse più di trecento mila persone. Mi chiedo onestamente in percentuale quanti abbiano dato più valore al momento piuttosto che ai look, ai selfie, al socializzare tra di loro e all'andare in giro con grossi cartelli sulla testa con scritto "free hug" e annesso account instagram del proprietario del manifesto. A onor del vero è sempre stata una manifestazione dal linguaggio semplice, ma la perplessità mi resta un po' addosso.
Sul palco all'Arco della Pace nessun discorso ha lasciato davvero il segno: litri e litri di retorica spiccia e abbastanza evitabile. Ma la verità è che non era nemmeno necessario chissà quale discorso: molti dei partecipanti si sono accasciati sul pratone fronte palco distrutti dal caldo e con una soglia dell'attenzione pari a zero. Sicuramente quell'unico giorno all'anno in cui la comunità si ritrova, la voglia di festeggiare è tanta, ma perché ho avuto la sensazione che nei restanti 364 giorni, la media dei supporter viva la sua vita con un certo "distacco dai valori" che sostiene durante il pride? Umilmente mi permetto di avere qualche perplessità, ma tra dubbi vari ed eventuali ho chiesto a Davide Cavalieri, amico e membro della comunità Lgbtq+ un parere sul tema del Pride :"Mi aspetto di più dalla comunità ogni giorno. Serve a poco scendere in piazza una volta all’anno facendoci forti perché protetti dalla forza della manifestazione senza poi avere la coerenza di essere se stessi sul luogo di lavoro, ad esempio, con i propri vicini… semplicemente con un sorriso. Mi aspetto di più dalla comunità Lgbt ogni giorno: tocca a noi singole persone aiutarci fra di noi. Stando a fianco a chi ne ha bisogno, aprendo le braccia a chi ne ha bisogno. Si parla tanto di comunità Lgbt e poi ci sono persone sole e disperate… mi aspetto maggior solidarietà fra noi che abbiamo il cuore arcobaleno. E mi aspetto da parte dei media l’abbattimento dello stigma nei confronti di certi metodi di comunicazione Sono Davide Cavalieri, sono quello che sono al di fuori del mio orientamento sessuale". Siamo tutti protagonisti nella lotta per i diritti civili, indipendentemente dall'orientamento sessuale o dall'identità di genere e questo è lo spirito che avrei voluto vedere sabato. E che al massimo, lo dico con una certa amarezza, ho solo intravisto.