“Tutta la guerra si basa sull'inganno”, diceva Sun Tzu, il filosofo e stratega cinese del 500 avanti Cristo. In Italia esiste un ministero dedicato al merito, ma il merito, come la guerra, si basa su un inganno. “Nessuno merita la sua posizione nella distribuzione delle doti naturali, più di quanto non meriti la sua posizione di partenza della società”, diceva John Rawls in A theory of justice, uno dei libri più importanti nel campo della filosofia politica contemporanea, pubblicato nel 1971. Meritevoli si nasce e, come durante una guerra, ci si ritrova da un lato o dall’altro della trincea, senza possibilità di scelta. Oggi, sul Corriere della Sera, è uscita un’intervista di Stefano Lorenzetto a Giovanni Diamanti. Il primo è uno dei migliori e più meritevoli intervistatori italiani, il secondo è il fondatore di Quorum e YouTrend, nonché consulente di comunicazione elettorale, responsabile delle strategie di marketing politico, risultate vincenti ed efficaci, di molti sindaci italiani, tra cui Sala, Gualtieri, Nardella, Tommasi, De Luca e Zingaretti. Giovanni è il figlio di Ilvo Diamanti, importante sociologo e politologo italiano, giornalista di Repubblica. Nell’intervista di oggi, Diamanti figlio ci racconta di come i suoi modelli siano Sun Tzu, citato in apertura, il barone Von Clausewitz, quello del famoso aforisma “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”, ed Ernesto Che Guevara, che prima di diventare un’icona pop è stato il genio militare capace di fare il culo nientedimeno che agli Stati Uniti d’America. A proposito dell'’aforisma di Clausewitz, uno dei mezzi principali che la politica usa per continuare la guerra sono le agiografie, ovvero l'arte di baciare i crocifissi, di raccontarsi come un perfetto padre di famiglia o come un underdog. Ma non solo. Selvaggia Lucarelli ha dimostrato come ci provò anche Mattia Santori, ai tempi delle Sardine, usando la retorica dell’insegnante di frisbee con gli occhi stanchi, mentre il quotidiano online vicentino Tviweb, a maggio 2023, ha posto l’accento su un articolo, guarda caso di Repubblica, dal titolo “Comunali Vicenza: la sfida di Giacomo Possamai. Nei bar come Obama per conquistare i giovani”, in cui si raccontava di come lo stesso Giovanni Diamanti e l’allora candidato sindaco Possamai avessero fatto campagna elettorale porta a porta per Obama, zaino in spalla, e di come tra l’altro avessero condiviso un’infanzia a dir poco importante, in quanto anche il padre di Possamai era direttore di giornale, nonché consulente di un’azienda che stava per rilevare i quotidiani locali del gruppo Gedi, lo stesso di Repubblica. Tutto questo spiega ampiamente perché io abbia citato Rawls, poco sopra: le vittorie si guadagnano, è vero. La posizione di partenza, quella no, ed è molto più facile vincere se sei già in possesso dei mezzi necessari per farlo.
La guerra, dicevamo. L'obiettivo finale di ogni guerra è la vittoria, e ciascuna guerra è guerra di conquista: “Possamai e il suo team di giovani alla conquista di Vicenza per strapparla al 'civico di destra' Rucco”, dice un altro titolo di Repubblica. Non c'è motivo di uscire dalla cornice concettuale della polemica nella quale siamo entrati: nel primo articolo si volevano conquistare i giovani, in quest'altro sono i giovani a conquistare Vicenza. Ma il problema principale è un altro: lo storytelling del conquistatore. Si tratta di un tema nel quale chiunque di noi si sarà imbattuto, leggendo un qualsiasi giornale o scrollando il feed dei social network, e che Selvaggia Lucarelli ha sollevato nei confronti di certe interviste pubblicate dal Corriere e da Repubblica, ma non solo. Sono quelle storie del tipo: ho fatto dei grandi sacrifici per ottenere quello che ho. Me lo sono meritato. Ma ricordate la prima frase in alto? Il merito è un inganno, e quella pubblicata oggi dal Corriere è proprio una di quelle interviste a “giovani che ce l'hanno fatta”, come se partissero da zero e abbiano raggiunto risultati incredibili solo con le loro forze, senza sottolineare però che sono figli di gente piuttosto importante nei settori in cui si sono fatti strada, o comunque di persone influenti o sfondate di soldi, in grado quindi di assicurare il merito alla propria progenie, e contemporaneamente salvando una certa apparenza di fatica fatta per ottenerlo. Come disse ancora la Lucarelli, riferendosi a un'intervista del Corriere a Michela Gritti, presentata come modello di successo ma figlia del presidente di una multinazionale, sembra l'ennesimo caso di “giovani qualunque che ce l'hanno fatta”. D'altronde, lo scopo dell'agiografia è quello di fornire un modello la cui funzione è quella di guadagnare meritevolezza, e per ottenere questo risultato è necessario che il merito, a sua volta, appaia come qualcosa di guadagnato. “Conosci il tuo nemico e conosci te stesso; in cento guerre da combattere, non sarai mai vinto”, diceva Sun Tzu. Giovanni Diamanti, tra le altre cose, tiene un corso all'interno di un master presso l'università di Padova. L'oggetto del master è: social media, opinione pubblica e marketing elettorale. Lui conosce certamente se stesso, e anche il nemico: come ammette lui stesso nell'intervista, è grande amico di Pietrangelo Buttafuoco, e della Meloni dice che è una grande leader. Se il marketing elettorale è una guerra, siamo noi elettori a ritrovarci nella posizione di semplici soldati, che non conoscono né loro stessi né il nemico, ma sui quali grava tutto il peso di ogni singola battaglia. Come nel film di Totò, l'umanità si divide in uomini e caporali, ed è beninteso che signori si nasce; soltanto che, diversamente dalla rivendicazione di nascita presente nel film, nella guerra del marketing elettorale la cosa più importante è non farlo sapere, da dove si arriva veramente. Meglio far credere che si è andati fino in America a proprie spese per inseguire un sogno. Male che vada, chiediamo a papà se un suo amico ci può fare un'intervista.