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Ma vi immaginate cosa sarebbe successo in Italia con un terremoto come quello in Giappone? Ecco come fanno loro ad avere “solo” poche decine di morti (e cosa dovremmo fare noi per salvarci)

  • di Federico Giuliani Federico Giuliani

3 gennaio 2024

Ma vi immaginate cosa sarebbe successo in Italia con un terremoto come quello in Giappone? Ecco come fanno loro ad avere “solo” poche decine di morti (e cosa dovremmo fare noi per salvarci)
In Giappone la terra trema di continuo. Ma un tremendo sisma di magnitudo 7.6 come quello degli scorsi giorni ha causato “solo” 64 morti. Com’è possibile? Grazie a un’organizzazione unica nel suo genere, il governo nipponico è capace quasi sempre di limitare i danni. E a far sì che, salvo casi particolari, il bilancio delle vittime sia contenuto. Se l’Italia si trovasse a fare i conti con le stesse catastrofi della nazione dell’estremo oriente, invece…

di Federico Giuliani Federico Giuliani

In Giappone la terra trema continuamente. In un anno si registrano in media tra le 1500 e le 2000 scosse sismiche. Non tutte, fortunatamente, sono devastanti come quella di magnitudo 7,6 che ha colpito il primo gennaio di quest’anno la prefettura di Ishikawa. Molte scosse generano ingenti danni materiali nelle aree colpite. Ma il fatto più sorprendente è un altro: in questo Paese, incastonato nel punto esatto in cui convergono quattro placche tettoniche, al termine di ogni calamità naturale il numero di vittime riesce quasi sempre a mantenersi molto basso. Potremmo dire irrisorio, se azzardiamo un paragone con quanto avviene solitamente in altre nazioni. Dove, non a causa di terremoti devastanti, ma per via di semplici alluvioni o piogge più forti della norma possono perdere la vita decine se non centinaia – o talvolta anche migliaia - di persone. In Giappone la situazione è diversa, e l’ennesima riprova è arrivata dall’ultima catastrofe. Le autorità hanno infatti confermato la morte di 64 persone. Un bilancio ancora provvisorio che potrebbe aumentare nelle prossime ore, ma comunque bassissimo visto e considerando quanto accaduto. 

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Un quartiere distrutto in Giappone dopo il terremoto

Come limitare i danni dei terremoti?

L’epicentro dell’ultimo disastro che ha scosso il Giappone è stato localizzato ad una quarantina di chilometri a nord-est di Anamizu, nella penisola di Noto, a circa 10 chilometri di profondità, in un’area protesta nel Mar del Giappone. Dati alla mano, si è trattato del terremoto più forte mai verificatosi in questa zona dal 1885 ad oggi, maggiore anche del sisma di magnitudo 7,3 che colpì Kobe nel 1995 e uccise oltre 6.000 persone. Ebbene, a differenza di quanto non si possa pensare gli effetti della catastrofe naturale che ha colpito la costa nord-occidentale del Giappone sono stati limitati in maniera sorprendente. Certo, sono stati danneggiati centinaia e centinaia di edifici, è saltata la corrente elettrica in decine di migliaia di case, molte famiglie sono state evacuate dalle rispettive abitazioni, mentre le frane, le strade danneggiate e le numerose scosse di assestamento stanno complicando le operazioni di salvataggio dei soccorsi. In città come Wajima, Noto o Suzu, vicine all'epicentro del terremoto, i comuni stanno ancora cercando di quantificare il numero di strutture crollate. A Suzu, “circa il 90% delle case è stato completamente o parzialmente distrutto”, ha dichiarato il sindaco Masuhiro Izumiya. Tuttavia, se i danni materiali sono stati ingenti, allo stesso tempo il bilancio delle vittime è stato limitato. Secondo l'Agenzia meteorologica giapponese, alle 17:30 del primo gennaio si sono verificati 19 terremoti che hanno totalizzato almeno 1 nella scala di intensità sismica del Giappone, una scala che va da 0 a 7 e che misura il grado di scossa in un dato punto anziché il rilascio di energia misurato in base alla magnitudo. Il più potente aveva un'intensità pari a 7, altri tre hanno raggiunto quota 5 o superiore. Dal 2020, la regione di Noto ha dovuto fare i conti con cinque terremoti con intensità pari a 5 o superiore. Nel maggio 2023, si è verificata una serie di terremoti di grado 5 e 6, provocando un decesso, 49 feriti e la distruzione di circa 200 edifici residenziali. Anche in quel caso, il bilancio delle vittime si è rivelato irrisorio in proporzione al numero di  morti che si sarebbe presumibilmente materializzato altrove, qualora lo stesso terremoto avesse colpito qualsiasi altro Paese del pianeta. Basti pensare che il terremoto di magnitudo 6,8 che ha scosso il Marocco nel settembre 2023 ha causato quasi 3.000 morti e più di 5.500 feriti, mentre il sisma che ha devastato Turchia e Siria nel febbraio 2023 rispettivamente circa 60.000 morti e più di 122.000 feriti. Numeri impressionanti che nel Giappone moderno martoriato dai terremoti non si sono mai verificati. Ma quindi: come diavolo fa il Giappone a limitare i danni ogni volta che si verifica una catastrofe naturale? Partiamo col dire che questo Paese occupa una posizione geografica particolare, estendendosi lungo il cosiddetto Anello di Fuoco, un'area in cui si incontrano diverse placche tettoniche. Questo Anello di Fuoco è un ampio percorso a forma di ferro di cavallo che si estende lungo l'Oceano Pacifico e, aspetto più rilevante, è contrassegnato da vulcani attivi e siti ad elevata attività. Circa il 90% dei terremoti della Terra si verificano qui. Il Libro bianco di Tokyo sulla prevenzione dei disastri del 2013 ha rilevato che circa il 20% dei terremoti mondiali di magnitudo 6 o superiore si verificano in Giappone o nelle sue vicinanze. Adesso è più facile capire perché Tokyo è vulnerabile ai disastri naturali, come terremoti, eruzioni vulcaniche e possibili, conseguenti tsunami. Il governo giapponese spende gran parte del suo budget per la gestione del rischio di catastrofi e nella prevenzione dei disastri. In che modo? Investendo enormi quantità di denaro in sistemi di allarme antisismico nei telefoni cellulari dei cittadini, in strutture di emergenza dislocate nel territorio, centri di evacuazione, nonché edifici antisismici. Insomma, a causa della sua storia di terremoti, il Giappone è ben preparato per questo tipo di eventi. Un esempio banale: tutti i cellulari giapponesi sono dotati di un sistema di allarme antisismico, che potenzialmente offre agli utenti una finestra di 5-10 secondi per cercare riparo prima che si verifichi il sisma. Un altro esempio: le case e gli edifici resistenti ai terremoti sono progettati per “muoversi” con il terremoto, anziché crollare o ferire chi si trova all'interno. E ancora: ci sono anche frequenti esercitazioni di emergenza per prepararsi a un grave terremoto.

Un giapponese dietro le macerie
Un cittadino giapponese dopo il terremoto

Il “segreto” di Tokyo

Il “segreto” del Giappone per resistere, o quanto meno limitare al massimo, i danni dei violenti terremoti che si scatenano nelle sue profondità coincide con un’organizzazione estrema. Il Paese dispone di rigide norme di costruzione per garantire che gli edifici possano resistere a forti scosse. Nel dicembre del 2021, il governo ha adottato un piano quinquennale da 15mila miliardi di Yen (96 miliardi di Euro circa) che prevedeva il potenziamento di infrastrutture come strade, scuole e aeroporti come parte dei preparativi anti-disastro. In Giappone, poi, esistono i kenchikushi, ovvero architetti-ingegneri responsabili per 10 anni dei difetti di costruzione dei progetti da loro realizzati. Nel 1981, il Giappone richiese che tutti i nuovi edifici fossero dotati di un sistema di isolamento sismico, con fondamenta dotate di strati di acciaio e gomma che fungessero da ammortizzatori. Nel 2018 la Banca Mondiale osservava che “modificando gradualmente le leggi edilizie in risposta ai successivi terremoti e ai cambiamenti socioeconomici e demografici”, il Giappone ha costruito un ambiente “che è tra i più sicuri e resistenti ai disastri del mondo”. Impossibile fare diversamente, visto che nello stesso anno i sismologi giapponesi spiegavano che esisteva una probabilità del 70% che un terremoto di magnitudo da otto a nove - con intensità paragonabili a quella del terremoto e dello tsunami nell’Oceano Indiano del 2004 - potesse colpire il Paese nel giro dei prossimi 30 anni. La previsione ipotizza che, nel peggior scenario, il Big One nipponico possa causare 230.000 morti e tsunami con onde alte fino a 10 metri di altezza. Un’apocalisse: la stessa più volte vissuta nel corso dei secoli da un Paese abituato a fare i conti con disastri di ogni tipo. Nel 1923 un terremoto di magnitudo 7,9 colpì il centro di Tokyo, uccidendo 105.000 persone. Al tempo del grande terremoto nella regione di Kanto, la capitale era costituita principalmente da case di legno. Il sisma provocò incendi alimentati dai forti venti mentre le fiamme si trasformarono in enormi tempeste di fuoco lasciando una scia di morte e distruzione. Il 16 gennaio 1995 il Giappone centrale fu scosso dal peggior terremoto degli ultimi 50 anni. Il sisma di magnitudo 7,3 uccise oltre 6.400 persone e devastò la città portuale occidentale di Kobe, spazzando via il 2,5% del pil nazionale. Nel 2011, infine, un terremoto di magnitudo 9 scatenò uno tsunami che travolse il nord-est del Giappone, uccidendo più di 18.000 persone. Si trattò del terzo terremoto più grande al mondo dal 1900. Il terremoto e lo tsunami di Tohoku del 2011 provocarono anche la fusione della centrale nucleare di Fukushima Dai-Ichi, il peggior disastro nucleare al mondo dai tempi di Chernobyl. A Tokyo, dunque, nessuno si scorda del passato. Ogni volta che il Paese è colpito da un grande terremoto vengono studiati i danni e aggiornate le normative nella speranza di dominare sempre di più gli effetti delle catastrofi naturali. Succederà così anche nei prossimi mesi. 

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