Leonardo Caffo: “Michela (Murgia, nda), tutte le volte che veniva a Milano, perché quando veniva a Milano dormiva da me, e da Giulia Innocenzi perché noi eravamo coinquilini e molto amici…”. Intervistatore: “Ah, tu vivevi in casa con Giulia Innocenzi e Michela Murgia…”. E qui partono le risate, dell’intervistatore e di Caffo. “E pensa poi so’ finito sui giornali come stupratore nazifascista”, risate. A parte il fatto che non erano i giornali ad accusarlo, ma il processo in corso, che indagava sui maltrattamenti e le lesioni alla sua ex compagna e madre di sua figlia (“vacca buona solo per allattare”, le diceva), ce ne sono molte, di risate, in questo podcast di sette mesi fa, “Il Bazar Atomico”, nella puntata intitolata (giustamente) “Innocente fino a prova contraria”.
Leonardo Caffo, l’amico di Michela Murgia (“Michela entrava nella mia stanza e mi diceva: quanto sei bello, ti acchiapperei il pisello”, racconta durante l’intervista) e di Chiara Valerio, (che voleva assolutamente ascoltare le sue opinioni sull’anarchia, durante Più Libri più Liberi, la fiera della piccola e media editoria che dirige), è stato condannato in primo grado a 4 anni. Ha fatto ricorso. Per lo Stato di Diritto è ancora innocente. Anche per noi. Ma le risate sono proprio tante, durante quella intervista. C’è da sottolineare che il processo a Caffo è stato celebrato con rito immediato possibile soltanto in due casi: “Nel caso in cui dalla brevità delle indagini emergano prove di evidente reità, oppure nel caso in cui sia stata disposta una misura cautelare custodiale”. Caffo non era sottoposto a misura cautelare custodiale, difatti era a registrare il podcast. In cui si rideva, molto. Secondo il pubblico ministero il suo comportamento processuale è stato "volto a pulire la propria immagine continuando a screditare la parte offesa". Forse non solo il comportamento durante il processo?
Ascoltanto il podcast il dubbio - tra le risate di Caffo e del conduttore - viene. Ce ne sono tante, di risate, durante questa intervista che verte sul processo, che a un certo punto il conduttore, colto da un attimo di lucidità, si scusa con il pubblico: “Non sono cose sulle quali si dovrebbe ridere, ma…”, e ancora risate. Risate insieme ad affermazioni che alla luce di quanto successo dopo appaiono surreali. Userei la parola adeguata: deliranti. “Ho preferito essere sacrificato sul carro del nemico…”: lui ha preferito? Lui ha preferito assumere su di sé il ruolo di accusato nel processo? È stata una sua libera scelta? Gli inquirenti lo hanno convocato e gli hanno detto: “Caffo, decida lei”? E Caffo ha risposto: “Preferisco essere sacrificato sul carro del nemico”. Manco Muzio Scevola, per dire. Ma la conclusione della frase è “bellissima”, direbbe Moreno Pisto: “...che mettere in difficoltà il carro dell’amico”. Cosa che invece ha fatto alla grande. Perché quando il suo editore e Chiara Valerio hanno organizzato l’incontro a Più Libri più Liberi, il Caffo, sul carro dell’amico, c’è salito con la rincorsa e il tuffo, e l’hanno fatto scendere fermando il carro della Valerio e obiettando: “Ma lui, che ci fa qui sopra?”. Il podcast è da vedere tutto, perché c’è di tutto, anche il liquidare la questione come “gossip”, perché, sostiene Caffo, intorno alla sua vicenda c’è stato tanto clamore perché i giornali sono pessimi e alla ricerca dello scandalo. Non perché egli fa parte di un gruppo di “amichetti” (copyright Fulvio Abbate) che di fatto hanno l’egemonia della cultura e dell’editoria di questo paese. Guardatelo, questo podcast, non limitatevi a sentirlo perché Leonardo Caffo (al momento, lo ricordiamo, innocente) con le sue risatine perculanti, con lo sciorinamento delle sue amicizie che sembrano proprio convincerlo di una qualche forma di impunità, sembra proprio identico, uguale sputato, ad Arianna Meloni che dice: “Cosa vuole che interessino queste cose, agli italiani”. E invece, toh, interessano.