Dopo decenni in cui si è detto a più riprese che il momento delle automobili a idrogeno stava per arrivare, ormai la gran parte delle case automobilistiche sembra aver rinunciato a produrre veicoli a celle a combustibile (cioè a idrogeno) per puntare sull’elettrico. Eppure, secondo alcuni, può essere una risorsa. “Se parliamo di mobilità leggera, quindi di automobili, penso che sarà il mercato a spingere l’idrogeno sempre più lontano”, fa sapere Luca Iacoboni, economista ambientale di Ecco, specializzato sui cambiamenti climatici. Non è conveniente però da un punto di vista economico, e non solo. Ma come funzionano le auto a idrogeno? Come nel caso dei motori a benzina o a gasolio, grazie a una miscela di carburante e aria che porta a una reazione chimica che rilascia energia. La reazione di base dei motori combustibili a idrogeno è il frutto dell’incontro di due molecole di idrogeno con una molecola di ossigeno, che crea due molecole d’acqua. Sebbene ciò possa sembrare innocuo, le alte temperature coinvolte nel processo fanno sì che l’ossigeno e l’azoto all’interno della camera di combustione reagiscano tra loro e formino ossidi di azoto, dannosi per l’ambiente. Non solo, l’idrogeno ha una densità energetica inferiore rispetto a benzina o gasolio, quindi è necessario bruciarne di più per fornire una quantità di energia similare. In parole povere la quantità di energia contenuta in quasi 4 litri di benzina (circa 4 kg) è paragonabile a quella contenuta in un chilogrammo di idrogeno. E quest’ultimo ha un costo di produzione maggiore. Basti pensare che la benzina è circa 1,8 euro al litro mentre l’idrogeno costa più di 15 euro al chilo.
Ma può essere una valida alternativa per altre tipologie di trasporti, ad esempio i mezzi pesanti, aerei, treni, navi. “Non esiste una gara tra tecnologie. La parola chiave è complementarietà”, spiega Stefano Campanari, presidente di Hydrogen JRP, la piattaforma di ricerca sull’idrogeno del Politecnico di Milano. “La strategia europea prevede che la via maestra per decarbonizzare i trasporti sia l’elettrico, che però non riesce ad arrivare ovunque. Ed è qui che entra in gioco l’idrogeno”. Per questo i fondi del Pnrr prevedono soprattutto la costruzione di stazioni di rifornimento a idrogeno lungo autostrade e tangenziali, ossia le tratte più percorse dai mezzi pesanti. Poi c’è la questione dei treni. In Lombardia, Snam e Ferrovie Nord Milano stanno lavorando alla hydrogen valley, un progetto per la prima linea ferroviaria italiana, che collegherà Brescia, Iseo ed Edolo, interamente a idrogeno. “Un altro settore applicativo è la riconversione di alcune linee ferroviarie oggi servite da treni a gasolio e difficili da elettrificare. I treni a batteria già esistono, ma richiedono la costruzione di infrastrutture ad hoc. Per le tratte lunghe o in salita, dove la richiesta di energia è molto alta, l’idrogeno è la soluzione migliore”, sottolinea Sianesi, presidente della Fondazione Politecnico di Milano, a cui è affidata la gestione della piattaforma di ricerca sull’idrogeno. E c’è anche il settore aereonautico e di trasporto pubblico locale, ad esempio a Bologna, dove è in previsione la flotta di autobus a idrogeno più grande d’Italia. Ma per far decollare davvero il mercato, le aziende chiedono soprattutto nuovi incentivi. Non a caso lo scorso aprile il ministro Roberto Cingolani ha messo a disposizione 450 milioni di euro del Pnrr per finanziare lo sviluppo della filiera dell’idrogeno verde.