La mia passione per il sistema bancario trae spunto da un libro del '700 presente nella antica biblioteca di famiglia. Ricordo che il Ministero dei Beni Culturali alla fine degli anni '80, a sue spese, lo fece ristrutturare e microfilmare. Il libro nella sua copertina in pergamena contiene l'espressione “Nec prece nec pretio”. Da studente di liceo, all'epoca dei fatti, compresi subito che si trattava di un libro riguardante i prestiti di denaro. Infatti, “Nec prece nec pretio” in latino dovrebbe significare letteralmente né preghiera, né sconto. In pratica, questa frase, che qualche esperto latinista ha tradotto anche in “Patti Chiari”, mi ha spinto ad avere una legittima curiosità per l'attività di banchieri, svolta dalla mia famiglia per oltre un secolo di storia, dal 1713 al 1821, nel Sud Italia e precisamente nella Provincia Borbonica di Capitanata, che allora comprendeva parte della Puglia e del Molise.
In merito all'attività di banchiere di Giuseppe Iosa si menzionano i suoi “Libri di conti 1713-1776”, custoditi nell'Archivio di Stato di Campobasso e di Lucera (FG), nonché nella libreria della casa Iosa di Carlantino (FG). I “Libri di conti”, continuati anche dal figlio Michele Arcangelo Saverio Iosa, erano attinenti ai prestiti elargiti, con un tasso di interesse che oscillava dal 3% al 8%, dalla stessa famiglia Iosa a persone della Puglia, del Molise e della Campania. In particolare, il dottor Giuseppe Iosa, iniziatore dell'attività bancaria in famiglia, espletava, per volontà dell'Arcivescovo di Benevento, Cardinale Orsini, futuro Papa Benedetto XIII, la sua azione di prestiti finanziari ad iniziare dal 1713, all'età di appena 14 anni, fino alla sua morte, avvenuta nel 1776. La sua attività di banchiere, esercitata ancora in assenza di un solido sistema bancario, spaziava in un'area territoriale molto vasta, che comprendeva Carlantino, Celenza Valfortore, Macchia Valfortore, Casalnuovo Monterotaro, Castelnuovo della Daunia, Castelvetere in Val Fortore e Campobasso, località un tempo in provincia di Capitanata, implicando rapporti intensi non solo con il potere economico, ma anche con quello politico-amministrativo. Tutti i prestiti a favore della gente comune, dei potenti dell'epoca e dei cittadini demanisti di Campobasso, venivano elargiti dal Banco Iosa a mezzo di atti notarili che tuttora sono reperibili negli Archivi di Stato della Capitanata e del Molise. In relazione all'attività di banchiere di Michele Arcangelo Saverio Iosa si menzionano invece gli “Atti e Libri 1776-1821". Quest'ultimi, intitolati “Nec prece nec pretio”, sono relativi alla sua attività di banchiere. Negli anni 1780 e 1781, Filippo Mazzaccara, figlio del Marchese Carlo Mazzaccara, chiedeva e otteneva in prestito, con le dovute garanzie vantate sul Feudo di Celenza Valfortore (FG), dall'avvocato Michele Arcangelo Saverio Iosa la somma complessiva di mille ducati d'argento (Angelo Coscia, Acquisto del Feudo di Celenza da parte della famiglia Donnarumma. Fine della Feudalità con la famiglia Giliberti nella terra di Celenza e Casale di Carlentino - in Carlantino tra storia e cronaca, nel contesto dell'antica Apulia e della Valfortore dalle origini alla metà del XX secolo, Tipografia “San Giorgio” Editrice, Campobasso, 1997, pp. 206-207 Capitolo IX). Nel periodo del “decennio francese”, durante il Regno di Giuseppe Bonaparte, fratello maggiore di Napoleone, sul trono napoletano dal 1806 al 1808, oltre alla creazione di nuovi organi istituzionali tra cui il Consiglio di Stato, furono emanati provvedimenti legislativi di particolare importanza, tra cui il Decreto di eversione della Feudalità, con il quale furono abolite tutte le istituzioni feudali.
Il sistema feudale che si era diffuso nel Regno di Napoli molto più tardi rispetto all’Italia settentrionale veniva considerato come uno dei maggiori ostacoli alla rigenerazione dello Stato: la sua abolizione, pertanto, si rendeva necessaria per il processo di riforma del sistema finanziario e fiscale e per rendere uniforme l’amministrazione dei Comuni. Con la promulgazione della Legge 2 agosto 1806 sull'Abolizione della Feudalità, la famiglia Iosa perdeva - in poco tempo - una parte dell'immensa fortuna economico-finanziaria derivante principalmente dall'attività bancaria svolta in oltre un secolo di storia, atteso che molti debiti contratti regolarmente dalla gente vennero cancellati con la ristrutturazione amministrativa napoleonica, la quale nel 1806 aveva anche spostato il capoluogo provinciale di Capitanata da Lucera a Foggia e aveva dato autonomia amministrativa al Contado del Molise, elevando Campobasso a capoluogo provinciale (M. Palumbo, I comuni meridionali prima e dopo le leggi eversive della feudalità: feudi, università, comuni, demani, 2 Volumi, Cerignola, 1910-1916, Ristampa anastatica, editore Arnaldo Forni, Sala Bolognese, 1999. A. Perrella, L'eversione della feudalità nel napolitano: dottrine che vi prelusero, storia, legislazione e giurisprudenza, Tip. De Gaglia & Nebbia, Campobasso, 1906, Ristampa anastatica, editore Arnaldo Forni, Sala Bolognese, 1974. R. Trifone, Feudi e demani. Eversione della feudalità nelle provincie napoletane: dottrine, storia, legislazione e giurisprudenza, Società editrice libraria, Milano, 1909. Pasquale Villani, Mezzogiorno tra riforme e rivoluzione, Laterza, Bari, 1962. Pasquale Villani, La feudalità dalla riforme all'eversione, in «Clio», 1965, pp. 600–622). Mi sono appassionato, in particolare, alla storia dei Banchi pubblici napoletani. In più, sapevo che il mio trisavolo era il fratello del trisavolo di Donato Menichella e che anche le nostre trisavole erano sorelle. Donato Menichella è stato uno dei più grandi economisti di fine millennio e uno dei protagonisti della ricostruzione italiana nel secondo dopoguerra. È stato Governatore della Banca d'Italia dal 1948 al 1960. Durante il governatorato di Menichella, l'Italia passò dalle rovine belliche al miracolo economico. Grazie a lui la lira si guadagnò nel 1960 il cosiddetto Oscar, un prestigioso riconoscimento assegnato dal Financial Times alla valuta più stabile al mondo (Donato Menichella - Testimonianze e Studi raccolti dalla Banca d'Italia, Editore Laterza, Bari, 1986). Sembra preistoria perché la lira non esiste più da tempo e i governatori come Donato Menichella sono solo un lontanissimo ricordo.
Nel 2005, come avvocato penalista, ho assunto la difesa, per l'applicazione di interessi illegali, di un giovane e coraggioso imprenditore di Campobasso contro la Banca allora amministrata da Gianpiero Fiorani, all'epoca il più noto banchiere italiano. Mi ricordo che, dopo aver presentato la denuncia in Procura, parlai al pubblico ministero di usura bancaria. Il magistrato, deceduto prematuramente nello scorso mese di agosto, mi guardò ed esclamò: “Avvocato ma esiste davvero l'usura bancaria?”. Gianpiero Fiorani, ex numero uno della Banca Popolare di Lodi, è stato fra i protagonisti con i «furbetti del quartierino» di una delle stagioni giudiziarie più clamorose della Seconda Repubblica. Per fortuna è stato lo stesso pubblico ministero, tutore della collettività, a far processare Gianpiero Fiorani e altre otto persone per usura bancaria. Costoro, dopo due gradi di giudizio, sono stati assolti perché, secondo i giudici, avevano agito in buona fede. In altri termini, i nove imputati senza saperlo avevano applicato, su errata indicazione della Banca d'Italia, interessi usurari dal 1997 al 2004 a danno dell'imprenditore molisano da me difeso. Da allora mi occupo quasi esclusivamente di processi penali contro le banche, fino a far indagare di recente con una mia denuncia l’ex ministro Paolo Savona e gli ex vertici delle più importanti Banche italiane. Ad aiutarmi in questa battaglia del piccolo Davide contro il gigante Golia c'è da sempre l'amico Gennaro Baccile, fondatore della Sos Utenti Aps. In questo mio breve intervento, dove si discute principalmente di usura bancaria che, come è stato stabilito dal Consiglio di Stato nel 2007, è equiparata a tutti gli effetti all'usura criminale, è importante fare alcune doverose precisazioni tecniche. Con l'entrata in vigore della Legge 7 marzo 1996, n. 108, cosiddetta Legge Antiusura, il legislatore ha attuato una riforma integrale del reato di usura criminale e bancaria, disciplinato dall'art. 644 del codice penale. Difatti, si è abbandonato quasi del tutto il vecchio schema dell'usura soggettiva, basata sull'approfittamento dello stato di bisogno della vittima, per passare ad uno schema di usura oggettiva, basata principalmente sul superamento di un tasso massimo di costo del denaro prestato. Il bene giuridico tutelato dal novellato art. 644 del codice penale, al 1° comma, è ravvisabile nel corretto esercizio dell’attività creditizia, mentre, al 3° comma, è ravvisabile nella difesa del patrimonio della persona. Il credito, il cui esercizio è garantito dall'articolo 47 della Costituzione, costituisce elemento imprescindibile dell'economia ed il Legislatore, con l'introduzione della normativa antiusura, ha fornito lo strumento per proteggere e soprattutto calmierare il mercato creditizio, imponendo una regolamentazione autoritativa favorevole per la parte contrattuale più debole. La fattispecie usuraria presenta, pertanto, un disvalore che si incentra sul "pericolo di danno finanziario", presuntivamente derivante dal mero superamento dei tassi soglia, senza richiedere alcun accertamento in ordine all’effettivo pregiudizio patrimoniale subito dalla vittima. In sintesi, si può ben dire che l'usura criminale è attuata dagli aguzzini a danno del patrimonio della persona offesa, mentre l'usura bancaria è attuata dai banchieri contro il buon andamento del mercato del credito. L'usura criminale è un'attività delittuosa al dettaglio; invece l'usura bancaria è un'attività delittuosa all'ingrosso. Oggi purtroppo le due forme di usura comunicano tra di loro, si danno del tu, hanno un comune denominatore: la difficoltà finanziaria della vittima. Si vede spesso gente che, non ricevendo più credito dal sistema bancario, finisce inevitabilmente nelle mani degli strozzini. Non tutte le Banche però commettono illeciti bancari. In qualità di segretario generale del Premio Donato Menichella, organizzato ogni anno dalla storica Fondazione Nuove Proposte Culturali, mi sento di dire che esistono anche banche virtuose, che rappresentano un modello da imitare per serietà e trasparenza.
Il panpoliticismo è la tendenza a far prevalere le istanze della politica nella vita e nei rapporti che regolano una società complessa. Si sa bene che la politica è ovunque e negli ultimi anni è stata soprattutto al servizio della “Bancocrazia”. Con moderazione e intelligenza bisogna riportare il sistema bancario mondiale nel perimetro della legge, attuando un'azione politica più a tutela dei deboli. Sant’Agostino diceva che: “La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose e il coraggio per cambiarle”. Lo sdegno c’è per l’aggressione del turbocapitalismo finanziario all’Italia, impoverita e finora dominata da burocrazie tecnocratiche e bancocentriche. Il coraggio di cambiare le cose, in questo momento, ha interpreti precisi: i giovani. Quest’ultimi, al di là del loro orientamento politico, sono i veri alfieri della legalità. A loro spetta il compito di invertire le tendenze e di garantire il rispetto della giustizia.