Raffaella Regoli a testa bassa contro Giorgia Meloni: in una diretta Instagram in cui parla di quella che ritiene essere l’eccessiva esposizione mediatica data a Giulio Cecchettin, l’inviata di punta di “Fuori dal Coro” sottolinea una serie di dati di fatto interessanti. Il polverone sul padre della ragazza uccisa da Filippo Turetta è paragonata da Regoli a “un’arma di distrazione di massa” volta a buttare fumo negli occhi dell’opinione pubblica. Regoli alla fine della sua live fa, passo dopo passo, una rassegna di quelli che sarebbero i veri problemi del Paese di cui, dibattiti come quello sul caso Vannacci prima e il caso di Giulia Cecchettin poi, non esaurirebbero l’essenza. E il suo cahier de doleance è una sfilza di critiche a colei che non viene mai nominata, la premier Giorgia Meloni. E non si può non leggere nell’attacco di Regoli una sorta di “sfiducia” da parte anche di Mario Giordano, conduttore di Fuori dal coro e dominus dei talk show televisivi del centrodestra.
Cosa rinfaccia Regoli tra i veri problemi di cui non si parla? Innanzitutto, il salario minimo. “Dite quel che volete”, sottolinea l’inviata Mediaset, “ma di fatto una persona non può guadagnare meno di nove euro l’ora”, aggiunge, bocciando dunque la linea-Meloni ostile a un salario minimo fissato per legge. E poi, il Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes), la cui riforma sarà presto al vaglio delle Camere. Chiamando a un momento della verità il governo, pronto alla sfida della realtà dopo anni di opposizione da parte di Meloni e di Matteo Salvini alla ratifica della riforma del Fondo salva-Stati. Regoli, che di recente si è recata a Ginevra per un servizio sulle tracce della riforma dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, denuncia poi la “rinascente dittatura sanitaria” e il fatto che il governo Meloni, per mezzo del Ministro della Sanità Orazio Schillaci, abbia consigliato la vaccinazione anti-Covid alle donne incinte e ai bambini come un altro campanello d’allarme. E chiude poi con lo stop alle bollette calmierate, decretato tra fine 2022 e inizio 2023 dal governo Meloni e con l’apertura al mercato libero dell’energia, con il boom della povertà che coinvolge 5 milioni di persone, secondo un recente report Caritas. L’inviata non è nuova a critiche, dirette o meno, a Meloni: già a luglio e settembre aveva criticato la sua gestione degli affari migratori e la presunta “passerella” concessa a Ursula von der Leyen a Lampedusa. Ora gli affondi sono a raffica e riguardano le rivendicazioni di una componente dell’elettorato di Meloni che si sente abbandonata dalla premier.
La destra che fa riferimento a aree mediatiche come Fuori dal Coro o La Verità, più tutte le testate alla sua destra, unitamente al campo conservatore di stampo cattolico (da La Nuova Bussola Quotidiana a Militia Christi), alle organizzazioni nazionaliste (come il movimento di Gianni Alemanno) e al mondo della destra sociale sia extraparlamentare che dell’associazionismo sindacalista post-fascista è una frastagliata congrega che ha sostenuto Meloni nella sua ascesa ma che ora si ritrova spiazzata dall’inevitabile compromesso con la realtà di “Io sono Giorgia”. Meloni, in undici anni di opposizione dal 2011 al 2022 ha cavalcato, passo dopo passo, il mito della “coerenza” passando, poi, di battaglia in battaglia. Dall’antieuropeismo al sovranismo, dalla difesa delle virtù del nazionalismo contro il globalismo, dalla denuncia dei presunti magheggi di potentati stranieri, banchieri e globalizzatori di sorte contro la purezza della cultura italiana ed europea al lassismo mostrato verso le frange più radicali del movimento contestatario sul Covid, Meloni negli anni è stata una figura “pigliatutto” per la galassia antisistema. Anche durante il biennio 2021-2022 di graduale normalizzazione le “carezze” a questo mondo non sono mancate, per difendere una posizione di primazia politica nei confronti di questa galassia del dissenso che aveva nel programma di Giordano il suo connettore principale.
Una destra sovranista, libertaria sui temi sociali ma conservatrice su quelli identitari, vagamente sociale su quelli economici, fermamente anti-europeista e certamente non smaccatamente pro-Usa non ha amato le dinamiche politiche del governo Meloni. La torsione europeista e lo smaccato atlantismo hanno portato frange come quella di Alemanno a distaccarsi, le politiche economiche e sociali stanno facendo lo stesso col resto di questa variegata galassia. L’idea di questo mondo è lineare: Meloni dovrebbe stare col popolo contro le élite globaliste, anti-italiane e desiderose di depotenziare il nostro Paese e la sua sovranità. Invece sceglie di accarezzare i big dell’energia, di dare un buffetto alla finanza (Giordano, solo a destra, difese la versione originale della tassa sugli extraprofitti poi emendata) e di non contrastare le élite internazionali, dall’Ue a Davos. Questa destra si ricorda dei proclami di Meloni circa la povertà in Italia di cui accusava formazioni come Pd e M5s: per questo ora Regoli carica su salario minimo e dati Caritas sapendo di non trovare certamente nella base dei suoi ascoltatori “no tutto” i fan delle imprese che compaiono in maggioranza. Come un fiume carsico questa tendenza può, sul medio-lungo periodo, erodere buona parte della base di consensi stabilizzata della premier e rappresentare il fondamento di un disamoramento da Fratelli d’Italia di un elettorato gassoso e volatile. Difficile misurarlo, ma è possibile che nell’ultimo quinquennio ci sia un 10-15% di votanti che ha premiato, gradualmente, la novità di turno sulla base delle promesse di rottura su temi come Europa, economia e, a destra, diritti: nel 2018 Luigi Di Maio, nel 2019 Matteo Salvini e nel 2022 Giorgia Meloni sono stati premiati dall’erraticità di questi gruppi di consenso. La cui domanda politica però è elevata. La pandemia e la guerra in Ucraina hanno aggiunto il fronte sanitario e quello geopolitico tra una fascia di consensi storicamente orientata in senso anti-mainstream e i leader chiamati alla fatica del governo. Chi potrebbe provare a intercettare parte di questi flussi, in vista delle Europee, è Matteo Salvini, che non a caso sta cercando di riposizionarsi a “destra della destra” esattamente nell’alveo anti-sistema in cui si muovono quei mondi oggi scettici verso Meloni. Di cui Regoli e Giordano sono i perfetti interpreti: la destra à la Fuori dal Coro nasce per la piazza, non per il governismo. Per sua natura è contestataria. E difficilmente controllabile. Il fatto che nella moderatissima Mediaset di Pier Silvio Berlusconi, forte del sorpasso su Rai-TeleMeloni, ci sia spazio per battitori liberi di questo tipo aggiunge un fattore di condizionamento della Real Casa dei media italiani sull’esecutivo conservatore. E un dato politico che andrà inequivocabilmente studiato e osservato fino alle Europee.