Ma ci avete mai fatto caso? La Cina, seconda potenza mondiale, non partecipa a una guerra dal lontano 1979. Un mesetto scarso durante il quale l'Esercito Popolare di Liberazione (Pla) del Dragone si trovò a “punire” il Vietnam (alleato dell'allora Unione Sovietica) per aver invaso la Cambogia (alleata dei cinesi). Sono passati quasi 50 anni. In questo stesso lasso di tempo gli Stati Uniti, prima potenza mondiale, hanno invece sparato in abbondanza e partecipato, più o meno direttamente, a molteplici conflitti. L'elenco è abbastanza corposo e comprende: l'invasione dell'Afghanistan (2001–2021); la guerra in Iraq (2003–2011 e 2014–2021); la guerra in Siria (dal 2014 in poi); l'operazione Inherent Resolve (dal 2014 per combattere l'Isis in Iraq e Siria); guerra in Yemen (2002 in poi); interventi in Libia (2011–2020); operazioni in Somalia (1992–1995; 2007–oggi); interventi in Ucraina (in maniera molto indiretta). Basterebbe già questo per spiegare perché la Cina non ha fin qui spinto per contrastare militarmente gli Usa: Pechino non ha abbastanza esperienza sul campo, le sue forze armate sono in fase di modernizzazione ma ancora non possono competere – per qualità e tecnologie – con quelle del Pentagono. Certo, in una ipotetica guerra combattuta nel “cortile di casa” cinese, e cioè nei mari dell'Asia, il Dragone potrebbe essere avvantaggiato visto il disimpegno statunitense nella regione, il controllo delle catene di approvvigionamento e il cambio di marcia Usa avviato soltanto con l'amministrazione Biden. La variabile coincide con l'ingresso in campo dei partner dell'uno e dell'altro Paese. Ovvero: se Washington dovesse essere sostenuta, per esempio, da Giappone e Corea del Sud, e la Cina da Russia e Corea del Nord. C'è però dell'altro...

C'è qualcosa che non va all'interno dell'esercito cinese. Negli ultimi due anni il presidentissimo della Cina Xi Jinping ha rimosso decine e decine di pezzi da novanta. Due ministri della Difesa e un gruppo di alti ufficiali sono stati “licenziati”. Purgati anche generali della Forza Missilistica, che controlla l'arsenale nucleare del Paese. La situazione è la seguente: la 20esima Commissione Militare Centrale (l’organo di comando supremo delle forze armate cinesi), inaugurata meno di tre anni fa, è guidata da Xi. Gli altri sei generali che ne fanno parte sono stati scelti da lui e, di questi, due sono stati ufficialmente licenziati, mentre un terzo non si vede in pubblico dall'11 marzo. La “prima ondata” di epurazioni, avvenuta nella primavera del 2024, ha comportato l’“espulsione” dal Partito Comunista Cinese degli ex Ministri della Difesa, il generale Wei Fenghe e il generale Li Shangfu. La “seconda ondata”, a novembre, ha invece coinvolto membri di alto rango della Commissione, come l’ammiraglio Miao Hua e il ministro della Difesa Dong Jun. Il nome più importante coinvolto nella "campagna anti corruzione" è stato il vicepresidente della richiamata Commissione, il generale He Weidong, il secondo ufficiale in grado del Paese. Rispondeva direttamente a Xi ed era “profondamente coinvolto nella pianificazione di una teorica invasione di Taiwan”. La purga in corso da parte di Xi “fa dubitare che egli possa fidarsi dei suoi generali per combattere la guerra”, hanno scritto sul New York Times Phillip C Saunders e Joel Wuthnow della National Defense University di Washington. Dunque, Xi non intenderebbe dichiarare alcuna guerra o fare passi azzardati perché non si fiderebbe del proprio esercito.

Mao Zedong dichiarò notoriamente, durante una riunione del 7 agosto 1927, che “il potere politico nasce dalla canna del fucile”, un assioma che è stato spesso ripetuto nei discorsi ufficiali durante l'era di Xi Jinping. Fin dall'inizio delle purghe si è sempre pensato che Xi stesse guidando le operazioni di pulizia per sbarazzarsi di nemici reali e potenziali tra i vertici. La recente ondata di avvicendamenti di personale, tuttavia, ha dato credito all'ipotesi che i nemici militari del leader cinese stiano uccidendo i suoi protetti per indebolire la base del “nucleo centrale del Partito”. In tutto questo le lotte intestine nella stretta cerchia personale di Xi (e non solo) hanno evidenti implicazioni per la pianificazione bellica del Paese. Mentre Pechino continua a enfatizzare la “vera” preparazione al combattimento e a concentrare la pressione su Taiwan, e mentre la sua contesa con Washington si intensifica, c'è poco spazio per un esercito che non può vincere un conflitto che promette di vincere. Certo, la rimozione di alti funzionari corrotti e sleali può portare alla nomina di funzionari migliori e attentamente selezionati, ma il deficit di fiducia che si crea è difficile da colmare. E ancora: il governo cinese deve limare anche il gap militare con gli Usa, puntando ancor più sull'hi-tech e le tecnologie avanzate. È presto anche solo per immaginare un attacco cinese a Taiwan. Nello Stretto di Taiwan non si muoverà una foglia a meno di un incidente o di una “provocazione statunitense” che scatenerebbe la reazione di Pechino. In ogni caso alla Cina non serve combattere con bombe, missili e tank. Alla Cina va bene combattere la guerra con altri mezzi. Come sta facendo da anni ottenendo risultati eccellenti.

