Colpevole per tre gradi di giudizio. Colpevole di aver gettato il cadavere della nipote Sarah Scazzi in un pozzo. Colpevole di aver depistato le indagini con un rincorrersi di menzogne e ritrattazioni. Quindi, lui che uscito da poco più che una settimana dal carcere di Taranto, ha le sue responsabilità. Dunque, quando dichiara di esserlo quasi fustigandosi davanti alle tv e ai media in generale non lo fa sbagliando. Perché ciò che ha fatto non è meno vile e meschino del comportamento sanguinario concretizzato però delle altre componenti della famiglia. In questo senso, e senza ombra di dubbio, l’ex contadino di Avetrana ha tante cose su cui recriminare. Ma non certo la colpa più terribile: quella di aver strangolato la nipote. E questo non solo perché ben trentasei magistrati hanno statuito che ad uccidere Sarah Scazzi sono state la figlia Sabrina e la moglie Cosima. Ma anche per le ragioni sottese al suo comportamento. L’uomo continua a dichiarare il falso, a mentire e a sconfessare quanto cristallizzato nella sentenza definitiva perché spinto dalla regia lucida e calcolatrice di figlia e moglie. Lui che dice di essere colpevole fuori, mentre Sabrina e Cosima sono in carcere da innocenti, non ha la benché minima possibilità di essere ritenuto attendibile. In realtà, probabilmente da quando per lui si sono aperte nuovamente le porte del penitenziario di Taranto, questa volta per uscire, è iniziata una vita che non ha mai vissuto. Una vita libera dalle catene. Catene ancor più strette di quelle che portava in carcere. Quelle catene che per una vita gli avevano messo in famiglia. Eppure, per tutti zio Michele, vittima di parodie e di costumi di carnevale, si prodiga continuamente e strenuamente a ribadire una colpevolezza che non gli appartiene. Perché lo fa? Intanto, perché è l’unico strumento che ha a disposizione per cercare un contatto con moglie e figlia. Un contatto che vuole a tutti i costi ripristinare perché mosso dal senso di colpa di aver raccontato, tra una smentita e l’altra, la verità sul delitto di Avetrana. E ciò perché in quel matrimonio e in quella vita di famiglia gli hanno sempre insegnato la regola della sottomissione. Gli hanno imposto di non reputarsi mai all’altezza e di sentirsi sempre sbagliato. E lo hanno ripetutamente punito. Non smettendo di farlo neppure dal carcere. Da detenute, infatti, hanno attuato quello che si definisce meccanismo del silenzio punitivo. Sono anni ormai. Parlo di quel silenzio scelto da Cosima e Sabrina perché Misseri ha rotto il patto di famiglia. Un abuso emotivo che è iniziato prima dell’omicidio e che continua a disarmare Michele. Una tattica che lo fa sentire insignificante, impotente e intimidito. Creando così in lui uno stato perenne di confusione e dubbio. Oltre che, chiaramente, di tormento, afflizione ed ansia.
Come sempre aveva fatto, a maggior ragione con l’omicidio, avrebbe dovuto assumersi ogni responsabilità del fattaccio. Indossando per la prima volta i pantaloni. Visto che, considerate le condizioni nelle quale versava, costretto a sgobbare nei campi e a dormire su una sdraio, non era certo lui l’uomo di casa. La verità è che Sabrina ha ucciso Sarah perché non le aveva perdonato di aver rivelato al fratello di essere stata rifiutata nel bel mezzo di un rapporto sessuale da Ivano Russo. Da quel "Dio Ivano", come lo chiamava lei, diventato un vero e proprio pomo della discordia. La sera prima dell’omicidio, quella del 25 agosto, una Sabrina furiosa aveva aggredito la cugina colpevole anche di intrattenersi troppo proprio con Ivano Russo. Con il quale Sabrina aveva chiuso i rapporti dopo “la notte interrotta”. A niente erano valsi i tentativi di chiarimento tra i due. Quindi, pensate alla vergogna di una ragazza respinta da un uomo che si intratteneva in maniera affettuosa con la cugina. Più bella e più dolce. Il resto lo sappiamo ed è stato scritto il 26 agosto 2010. Ma quel che è stato più drammatico è che Cosima e Sabrina avevano siglato un patto di ferro. Michele Misseri avrebbe dovuto farsi carico della morte dell’amata nipotina. Ma un senso di colpa più forte ha finito per schiacciarlo e, all’epoca, lo ha portato a dire la verità. Niente di più, niente di meno. Prima "zio Michele" si rende conto che ora ha la possibilità di ricominciare una sua vita, prima potrà cercare di godersi quel che gli resta da vivere.