«Ne parla tutta Perugia, Gubbio, anche nelle Marche, uno de Cagli m’ha chiesto ‘ma ch’è successo a Gubbio domenica?’». Già, e ch’è successo a Gubbio domenica, che invero ne parlano pure i giornali di tutta Italia, con i vocali whatsapp - uno è quello della chiosa tra virgolette - e le cronache social che invadono gli smarthphone? Eleviamo da brown humor, brown inteso proprio come colore, diamoci alla poesia.
Cuanno cuela bbon’anima d’Annotta
ebbe l’urtima frebbe e stiede male,
pe avé ll’ojjo de ríggini1 che sbotta
vorzi curre da mé dda lo spezziale.
Ecco la cosa ch’er Cumpar Natale
m’ha ttienuto a bbattesimo Carlotta,
acquàsi ne cacciò mmezzo-bbucale,
e mme lo vorze dà ffresco de grotta.
Ma cch’edè e cche nun è, du’ ora doppo
lei sentí ggran dolori a le bbudella,
e scaricò tamanto de malloppo.
E ppoi da mmerda in merda, poverella,
bbisogna dí che ll’ojjo fussi troppo,
morze, salute a nnoi, de cacarella.
Ecco, questo è Giuseppe Gioacchino Belli, il sonetto s’intitola Er purgante e al poeta romanesco ciò che è successo in un ristorante di Gubbio domenica sarebbe stato d’irriverente ispirazione. E insomma, cch’edè e cche nun è, non è stato ojjo de riggini (olio di ricino), ma tonno, pescato in proprio e mangiato crudo da una larga combriccola allegra - prima, almeno - di uomini duri a mandarne una trentina al tappeto. O meglio al gabinetto, se solo i gabinetti non fossero stati due, troppo occupati, per un’epidemia di dissenteria che, dai resoconti divertiti e pulp degli audio («scene apocalittiche», «’na tragedia», «n’ecatombe») raccontano di gente «’mbriaca» costretta a evacuare «’n mazzo ai tavoli», scene «c’han fatto ‘l disastro», e via andare, perché «uno s’è cappottato», un altro «ha centrato tre macchine» e sono intervenuti pure i carabinieri, scene grottesche e vestiti non più bianchi. Insomma «’na roba grossa». Tamanto de malloppo, per dirla col Belli.
Nessuna colpa da parte del ristorante e dei ristoratori, padroni di casa costretti poi a pulire e disinfettare, col pesce crudo a prendersi la rivincita su pescatori e amici a suon di batteri e gran dolori a le bbudella, con le ambulanze a intervenire perché proprio da scherzarci per chi s’è sentito male non c’è. E che i ristoratori siano incolpevoli ce lo ha confermato uno dei presenti: “Praticamente era un pranzo di 120 persone tutti pescatori e conoscevano il proprietario e il pesce l’hanno portato loro. Il ristorante l’hanno usato solo come appoggio e il ristoratore pensava che il pesce fosse già stato abbattuto”. Comunque sia, codice verde, raccontano le cronache, niente di che, salvo essere diventati protagonisti di una giornata che è già leggenda di provincia e, in tempi di social, trend topic, nella quale chissà quanto c’è di vero - alcune scene sono puro impressionismo, nei vocali a strepitosa cadenza dialettale in cui il verbo più usato è «cacare», anche qui molto belliano - e quanto di artato. E altro che Meloni, Berlusconi, Truss, Putin e una politica pulp, perché anche loro passeranno, ma nei bar questa storiella si racconterà per decenni, con la sua morale. Il Belli, oggi, si farebbe grasse risate, perché
la Verità è come la cacarella
che quanno te viè l’impito e te scappa
hai tempo, fija, de serrà la chiappa
e storcete e tremà pe ritenella.