Il più grande sciopero del settore auto della storia sta proseguendo in America e ha colpito, a partire dalla mezzanotte di giovedì 14 settembre, il momento esatto in cui è scaduto ufficialmente il contratto collettivo dei lavoratori degli stabilimenti delle cosiddette Big Three (General Motors, Ford e Stellantis). Lo United automobile workers (Uaw), il sindacato di settore che ha organizzato la protesta, è riuscito ad avere riscontri positivi da Ford, mentre Gm e Stellantis continuano a fare resistenza, tanto da portare i centoquarantamila dipendenti in sciopero a proseguire la lotta per salari e condizioni di lavoro migliori. Nel corso della settimana è arrivato anche il sostegno del preisdente Joe Biden, che tuttavia non sembra aver persuaso Gm e Stellantis a fare un passo verso lo Uaw. Così, altri cinquemila seicento dipendenti si uniranno presto allo sciopero. Le richieste vanno da un aumento della retribuzione del 40% e una riduzione del 30% dall’orario di lavoro, fino alla parificazione delle condizioni contrattuali dei nuovi assunti. I profitti raccolto nel corso dell’ultimo decenneio sono pari a 250 miliardi di dollari e per questo anche l’establishment Dem, da Obama a Sanders, crede che sia possibile redistribuire in modo più equo l’enorme guadagno di queste multinazionali.
Anche Marco Revelli è intervenuto sulle pagine de Il Fatto Quotidiano per commentare la notizia dello sciopero dello Uaw: “Ci sono senza dubbio elementi di novità ma è un nuovo che in qualche modo sa di antico. Di nuovo c’è una rottura della pace sociale che durava da tempo e questo sta accadendo in diversi settori, non solo in quello dell’auto. Ciò avviene nonostante la presidenza Biden sia in una qualche misura “amica” ma il mandato si avvia ormai a conclusione. Antico perché…riecco i metalmeccanici! Gli operai tornano al centro della scena e della lotta”. Il professore ed ex militante di Lotta Continua ha evidenziato le analogie con i movimenti operaisti del passato, anche in riferimento a uno dei top manager italiani più criticati dalla fronda di sinistra: “Mi lasci dire che questa è in qualche modo anche una rivincita postuma dei lavoratori Chrysler sul modello Marchionne che ha cercato di imporre un pieno controllo della forza lavoro, come avviene negli stabilimenti italiani, usando mezzi leciti e non”. Revelli aggiunge: “I lavoratori erano stati considerati alla stregua di macchine e di robot, qualcosa di ‘morto’ che invece adesso scoprono non solo essere vivo ma in grado di avanzare rivendicazioni per migliorare la propria esistenza, di affermarsi come soggetti e non come oggetti”. Alla domanda se un tipo di protesta di questo genere possa estendersi oltreoceano e ad altri settori, Revelli risponde senza farsi troppe illusioni: “Penso che sia un sommovimento che non si richiuderà su se stesso, non negli Stati Uniti almeno. Il paese è in declino ma è ancora pieno di energie e in questi contesti certi tipi di processi tendono a circolare e diffondersi. Come dicevo un risveglio dell’attività di rivendicazione riguarda già anche altri settori e la sindacalizzazione è in crescita soprattutto tra i lavoratori più giovani. Per la Vecchia Europa il discorso è diverso. L’Europa è decotta, è stanca, così come lo sono i suoi sindacati tranne che in Germania dove, non per caso, l’Ig Metall ha avanzato richieste che assomigliano a quelle della Uaw americane. In Italia l’encefalogramma dei sindacati è quasi piatto. I lavoratori più strutturati sono ormai anziani, molto anziani. Sono disillusi, pensano alla pensione. I giovani sono in condizioni precarie e quindi più ricattabili. Sono anche molto atomizzati, “dispersi”. Non affidano più il loro destino al lavoro e quindi viene meno l’incentivo ad impegnarsi in battaglie per migliorare condizioni e paghe. E fare un conflitto sciale con chi ha più di 30 anni è impossibile”.