In un video si vedono dei lampedusani che chiedono di incontrare Giorgia Meloni: “Se la Meloni non ci riceve, poi qui non viene più nessuno”. Cosa succede un secondo dopo? Che Giorgia Meloni si fa vedere, insieme alla presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen. Non ne sbaglia una. Il discorso tenuto a Lampedusa insieme all’esponente dell’UE più spesso chiamata in causa in questi giorni, che ha accettato l’invito della premier, dimostra quanto si era già detto: che Giorgia Meloni sta provando in ogni modo a diventare una leader di stampo europeo, capace di costruire il consenso senza urla e senza una retorica bastarda. Ci sono decine di motivi per cui, in altri tempi, la destra che oggi è al governo avrebbe urlato allo scandalo per quanto sta avvenendo ai confini italiani. Non solo per il numero effettivo di sbarchi, che ovviamente dimostra le difficoltà che questo governo non è riuscito a gestire finora, ma soprattutto per quello che avremmo potuto sentir raccontare come cinismo dell’Unione Europea, menefreghismo, indifferenza nei confronti del nostro Paese. Oggi Giorgia Meloni non usa più questi noti, pur rimanendo, nei contenuti, lucida e franca: “Non considero questo tanto un gesto di solidarietà dell’Europa verso l’Italia. Lo considero un gesto di responsabilità dell’Europa verso se stessa”. Inizia così il discorso in conferenza stampa, riconoscendo inoltre la reciproca disponibilità a discutere del fenomeno immigrazione. Parla di una sinistra che per motivi ideologici sembra stia remando contro a livello europeo, fermando il coordinamento per trovare una soluzione al fenomeno dell’immigrazione illegale. Perché per Giorgia Meloni il problema è principalmente questo: “Noi non risolveremo mai il problema parlando di come redistribuire i migranti all’interno dei confini europei. L’unico modo per affrontare seriamente il problema e per non far sì che la soluzione per una nazione voglia dire creare un problema a un’altra nazione, è lavorare su una soluzione esterna, fermare le partenze illegali degli immigrati. Questo è quello che ci chiedono i cittadini europei, ma - voglio dire - è quello che ci chiedono tanti immigrati regolari che vivono in Europa; è quello che ci chiedono i rifugiati, chi ha diritto davvero a essere rifugiato, perché non sempre ci siamo potuti occupare di tutti anche per il problema che avevamo con l’immigrazione illegale”. La forma, a volte, è tutto. In queste occasioni è fondamentale lanciare un messaggio che, in questo caso, doveva provvedere a evitare lo strappo con l’Europa che in molti, anche e soprattutto da destra, stavano chiedendo.
Strappo che non sembra invece preoccupare Matteo Salvini. Pontida, festa della Lega. Ospite d’onore Marine Le Pen. Si parla di centomila presenze, numeri che si faticano a verificare. Sul palco il discorso di Matteo Salvini è diametralmente opposto a quello di Meloni proprio nella forma. Nonostante si dica che nessuno mai li separerà, sembra che Salvini stia già facendo i conti con la divisione dei beni successiva a un divorzio. Per questo, in un contesto ben meno ufficiale e, forse anche per questo, più genuino, il segretario della Lega torna al suo vecchio registro, dopo mesi di calma apparente, di quiescenza politica segnata occasionalmente da boutade e gaffe, tra stormi e pesci sullo stretto e ghiacciai che si sciolgono in modo ciclico. Ora si torna a un linguaggio pre-governo, quasi da opposizione. Non nei contenuti, che per quanto arraffazzonati trovano ancora dei punti di contatto con i progetti del governo, ma nei toni e nel linguaggio. Tornano le parole chiave: invasione, utero in affitto, blocco navale. È di nuovo il Capitano, l’amico di Le Pen che, ospitata in Italia, continua a sostenere l’alleato, dimostrando di non aver imparato nulla dai modi pacati di Giorgia Meloni in questi mesi. Si torna, in altre parole, in campagna elettorale. E viene da chiedersi perché. Con ogni probabilità, il trasloco concettuale in atto che sta portando Giorgia Meloni a essere sempre di più uno spunto per molti conservatori europei, costringe inevitabilmente a qualche perdita, soprattutto tra gli elettori più radicati in quei sentimenti che in campagna elettorale sono stati facilmente intercettati dai populismi. In altre parole, più Giorgia Meloni diventa, in sede ufficiale, moderata, più i meno moderati saranno scontenti. Salvini ha dato prova, nella sua breve esperienza di governo prima di questa legislatura, di non avere i modi né l’intelligenza politica di arrivare ad avere un ruolo rispettato e rispettabile in Unione Europea. Cosa gli resta dunque, se non tornare alle origini e provare a recuperare campo proprio in quelle tasche di elettorato che presto saranno deluse dalla presidente del Consiglio? E quale miglior modo di farlo se non tornare a parlare il proprio idioma d’origina, quello fatto di invettive e tormentoni urlati a squarciagola?
Domenica sera, Giorgia Meloni è la prima ospite della prima puntata della nuova stagione di Dritto e rovescio. Un’intervista condotta da Paolo Del Debbio che dura circa quaranta minuti. “Questa è una battaglia tra la legalità e il traffico di esseri umani”. E parla di problemi strutturali, reddito, rapporti con l’Europa. Ha anche difeso la possibilità di una donna di fare carriera. E di farla non con le idee di chi oggi vorrebbe vedere solo donne di sinistra al comando, ma con le proprie idee. Una donna che fa carriera è un risultato materiale, che zittisce i maschilisti veri. Ecco, questo è un caso in cui, invece, la forma conta molto meno dei contenuti, sono i fatti a dover contare. Eppure che la prima donna al potere in Italia sia di destra non va ancora già a molti. Risponde alle domande con quella calma di chi, nel ruolo che si trova a coprire, non può permettersi più atteggiamenti sguaiati e cadute di stile. Questa è la continua conferma che Giorgia Meloni sta dando dopo anni in cui nessun politico era stato in grado di muoversi in questo modo. E lo fa a dispetto, vale la pena di ricordarlo, di un partito inebetito e di alleati che non riescono a stare al suo passo. Il vero problema? Se quegli stessi alleati, come Salvini, riusciranno a dare forza nuovamente a quel populismo che finalmente pare destinato a morire. Dopotutto, trecentotrenta giorni di mandato sono ancora pochi per consolidare una trasformazione di tale proporzione.