Mentre i pezzi grossi delle banche giocano a Risiko, per i risparmiatori si preannuncia un futuro senza istituti di credito. Nelle aree interne italiane, infatti, oltre 13 milioni di persone rischiano, nei prossimi anni, di rimanere prive di qualsiasi presidio bancario. Il fenomeno, già in atto, è fotografato dall’analisi del Centro Studi Uilca Orietta Guerra, che registra un’accelerazione nella chiusura degli sportelli e una scarsa compensazione con nuove aperture. Solo nel 2024, il saldo tra aperture e chiusure è stato negativo per 101 sportelli bancari nelle aree interne, dove le filiali già scarseggiavano. Dei 614 sportelli chiusi in tutta Italia, come riportato dal Sole 24Ore, 135 erano localizzati in questi territori, mentre le nuove aperture si sono fermate a 34 su un totale nazionale di 108. Il risultato è che soltanto 31 comuni delle aree interne, pari al 32% dei 97 comuni con nuove filiali, hanno beneficiato di aperture. Queste zone, dove vive il 22,6% della popolazione italiana (oltre 13 milioni di cittadini), rappresentano il 48,5% dei comuni (3.833 in totale) ma ospitano appena il 23,1% degli sportelli bancari attivi (4.549). «I dati dimostrano che la desertificazione bancaria è un fatto e non un luogo comune» afferma il segretario generale Uilca, Fulvio Furlan. «È evidente che esiste il problema dello spopolamento di certi territori, ma noi crediamo che le banche, invece di limitarsi ad adeguarsi al fenomeno, possano essere traino per invertire questa tendenza, data l’importanza che ha il settore del credito nel Paese».

Al calo demografico e all’invecchiamento della popolazione, che riducono forza lavoro e consumi, si somma il risiko bancario: fusioni e acquisizioni potrebbero ridisegnare la geografia degli sportelli, accentuando la concentrazione nelle aree già servite e lasciando scoperte intere zone rurali e periferiche. Il quadro a fine 2024 è allarmante: 3.380 comuni risultano privi di sportello, con circa 4,6 milioni di residenti. Ancora più preoccupante il dato relativo ai comuni che, fino al 2023, disponevano di almeno una filiale: nel 2024 ne sono stati chiusi 49 nelle aree interne, lasciando oltre 2 milioni di persone senza alcun servizio bancario fisico, pari al 46% della popolazione residente in municipi senza sportelli. «Le banche possono svolgere un ruolo sociale per garantire servizi essenziali, come dimostrato durante la pandemia, a persone che altrimenti restano isolate e penalizzate» ricorda Furlan. Ma mentre i vertici studiano strategie di accorpamento e riorganizzazione, la mappa della finanza italiana rischia di lasciare intere comunità fuori dal circuito dell’economia reale. Intanto Alberto Nagel si prepara alla sfida decisiva dell’assemblea del 21 agosto, dove si deciderà il destino dell’Ops su Banca Generali, potenzialmente l’ultimo tentativo per salvare la governance dell’istituto fondato da Enrico Cuccia. L’assemblea sarà blindata: niente confronto diretto tra soci, nessuna domanda in diretta, tutto affidato al «rappresentante designato», una scelta che ha già sollevato dubbi tra gli investitori.

Con l’appoggio di alleati chiave come BlackRock, che ha aumentato la sua quota al 5,059%, Nagel cerca di consolidare la sua posizione. Nel frattempo, il recente buyback ha ridotto la quota di Mediobanca, amplificando il peso relativo degli altri soci, un’operazione strategica in vista della delicata partita sull’offerta pubblica di scambio. Non mancano però le preoccupazioni, soprattutto da parte degli azionisti più piccoli. L’Aieda avverte: «C’è il rischio che si debba decidere sull’Ops senza avere un quadro informativo completo». Il nodo principale è che l’accordo con Banca Generali non è un contratto vincolante, ma un’intesa preliminare con margini di incertezza, e la firma definitiva potrebbe arrivare solo all’ultimo momento, dopo che molti azionisti avranno già espresso il loro voto. Gli esperti legali sottolineano il rischio che l’offerta possa basarsi su presupposti fragili, in contrasto con le norme Consob del 1999 che richiedono chiarezza e certezza. Per questo, «sarebbe auspicabile un intervento della Consob», che potrebbe chiedere ulteriori informazioni, rallentare o addirittura bloccare l’operazione. In questo clima teso, si registrano già segnali di defezione tra i fedelissimi di Nagel. Marcello Gavio e la holding Aurelia hanno venduto una quota consistente delle loro azioni, un segnale chiaro del crescente dissenso interno.
Banco BPM intanto registra un utile record superiore a 1,2 miliardi di euro, confermando un percorso di crescita solido. L’ad Giuseppe Castagna, intervenuto a Class CNBC, ha chiarito che, nonostante il recente ritiro dell’offerta di Unicredit, «non c’è niente sul tavolo» in termini di operazioni imminenti, ma si valuta ogni scenario con attenzione, compresa la possibile crescita della quota di Crédit Agricole, azionista di riferimento. Castagna sottolinea che il successo economico è legato all’acquisizione di Anima, che ha rafforzato i ricavi da commissioni, bilanciando la discesa dei margini d’interesse, e anticipa che le fabbriche prodotto entreranno a pieno regime dal 2026. Sull’ipotesi di una nuova offerta di Unicredit, il Ceo si dice cauto ma non esclude nulla. Riguardo alla strategia futura, la banca manterrà la linea stand alone finché rispetterà gli impegni, ma resta aperta a eventuali aggregazioni, soprattutto con soci come Crédit Agricole e Mps. Castagna evidenzia inoltre come la passivity rule, che ha limitato le mosse di Banco Bpm per otto mesi, sia uno strumento da rivedere perché ha bloccato operazioni potenzialmente utili senza reali offerte a premio. Il mercato ha premiato la crescita della banca, con un titolo salito del 71%, a conferma della fiducia negli obiettivi futuri. Il Ceo infine anticipa una revisione dei modelli di business bancari, con un aumento della componente commissionale rispetto a quella tradizionale degli interessi, un cambiamento che il mercato riconoscerà nel medio termine.
