Ombrelloni chiusi nei giorni feriali, file solo nel weekend, consumi ridotti al minimo nei bar e ristoranti degli stabilimenti. È il bilancio amaro di giugno e luglio 2025 per i balneari italiani: presenze in calo tra il 20 e il 30%, con punte del meno 25% in regioni come Calabria ed Emilia-Romagna. A pagare il prezzo della “falsa partenza” saranno gli incassi di fine stagione. In Toscana la fotografia non è diversa dal resto d’Italia. Dalla Versilia all’Argentario, giugno ha tenuto grazie ai weekend e agli stranieri, ma a luglio il calo si è fatto sentire, con punte del meno 20% durante la settimana. Sulla costa lucchese e pisana i balneari parlano di famiglie che “arrivano solo con il pranzo al sacco”, riducendo al minimo i consumi nei chioschi. A Forte dei Marmi, dove i prezzi restano da record, si salvano solo gli stabilimenti di lusso frequentati da turisti internazionali. Più giù, in Maremma, i gestori lamentano un mix micidiale di caro vita, concorrenza delle spiagge libere e meteo instabile. Gli operatori accusano la riduzione del potere d’acquisto delle famiglie e il rallentamento del turismo straniero, complice un contesto internazionale instabile. Assobalneari rivendica di aver chiesto di contenere gli aumenti, ma sul settore pesa anche l’incertezza sulle concessioni, che da dieci anni blocca investimenti strutturali. Eppure, per il Sindacato Balneari, a giugno il trend era stato positivo (+20%), segno che il problema non è solo climatico o congiunturale: qualcosa si è inceppato.

Le associazioni dei consumatori non hanno dubbi: il mare è diventato “un salasso per le famiglie”. Codacons cita casi eclatanti, come la tenda imperiale del Twiga a 1.500 euro al giorno o la zona exclusive del Cinque Vele Beach Club a 940 euro per Ferragosto. L’Unione Consumatori segnala rincari del 3,7% solo a luglio per stabilimenti e piscine, mentre villaggi vacanza e pacchetti turistici hanno toccato +15,7% e +16,1%. Anche vip come Alessandro Gassmann e Salvo Sottile parlano apertamente di “prezzi esagerati”. I gestori ribattono che le tariffe standard (ombrellone e due lettini) oscillano fra i 18 e i 30 euro e che gli aumenti medi sono intorno al 4-5%, accusando i media di alimentare un racconto distorto. Ma la distanza tra percezione e realtà resta: per molti italiani, il mare in stabilimento è ormai un lusso, e chi non può permetterselo ripiega sulle spiagge libere o rinuncia del tutto.

Mentre la guerra di cifre e accuse infiamma la stagione, la ministra del Turismo Daniela Santanché liquida le preoccupazioni come “allarmismo”. Per lei, il turismo “sta cambiando” e “l’estate non è solo mare”: sempre più viaggiatori scelgono i mesi di spalla, e i dati su giugno e luglio mostrerebbero un’Italia al top nel Mediterraneo, con tariffe medie inferiori a Grecia e Spagna e un tasso di saturazione rispettivamente del 48% e del 43%. Una visione ottimista che stride con la fotografia scattata dagli stabilimenti e dalle associazioni di consumatori. Così, mentre Roma minimizza e Bruxelles preme per mettere a gara le concessioni balneari, il settore si ritrova schiacciato fra tariffe contestate, domanda in calo e un modello di turismo che sembra non reggere più la concorrenza internazionale. Un copione già scritto, ma che molti – a partire dal ministero – sembrano non aver voluto leggere fino in fondo.
