Andrea Orcel non è nuovo a colpi di scena, ma il ritiro di UniCredit dall’assalto a Banco Bpm segna uno snodo che intreccia diplomazia, economia e paradossi legislativi. Un passaggio talmente ricco di implicazioni da far impallidire le trame del risiko bancario che da mesi domina le cronache.
La domanda che circola con insistenza nei corridoi del potere e nelle sale riunioni delle banche è semplice: cosa farà ora Orcel? Settembre porterà una nuova offensiva? Sarà ritorsione silenziosa contro il governo o strategico arretramento in attesa di tempi migliori per ripresentare un’offerta? UniCredit finora ha scelto una posizione di dialogo condizionato con l’esecutivo, non di rottura. Il rischio ora è che quella stagione sia già chiusa.
Nel mondo finanziario italiano il termine Golden Power ha un significato preciso: indica la facoltà del governo di bloccare operazioni ritenute contrarie all’interesse nazionale, come difesa di asset strategici dal controllo straniero. Tuttavia, proprio questa leva – nata per proteggere il “tricolore” delle banche – rischia di produrre un effetto boomerang. “Il paradosso di tutta questa storia è che, a oggi, il primo azionista di Banco Bpm è una banca francese. Niente male, se si pensa che nasce tutto dalla volontà di ‘difendere l’interesse nazionale’”, osserva Gianluca Paolucci su La Stampa.
Crédit Agricole, già saldamente al 19,8% del capitale, ha chiesto alla Bce di poter salire sopra il 20% e, secondo la normativa, fino al 30% senza obbligo di Opa (Offerta Pubblica di Acquisto), a patto di non assumere il controllo. Una mossa perfettamente lecita: ufficialmente, i francesi dichiarano di non voler comandare, ma il peso politico di questa presenza è indiscutibile. Il mercato aspetta ora di capire se Agricole resterà semplice azionista o cercherà un ruolo più attivo nel prossimo rinnovo del Consiglio di Amministrazione.

Nel frattempo, il governo incassa il risultato come una vittoria di principio: “Crédit Agricole ha a cuore le Pmi” (ossia le piccole e medie imprese), sottolineano fonti di Fratelli d’Italia citate da “la Repubblica”, insistendo su un punto caro all’esecutivo: il legame con il territorio. Secondo Palazzo Chigi, la presenza di Agricole nei confini italiani è storica e priva di quei tagli e chiusure di filiali che spesso accompagnano i processi di fusione o acquisizione. Al contrario, a UniCredit si rimprovera un approccio da “corsaro” sul credito nazionale, come se la banca milanese, pur essendo italiana, fosse percepita più distante delle rivali d’oltralpe.
Il dossier Commerzbank, la banca tedesca in passato oggetto di attenzioni da parte di Orcel, resta un altro capitolo sospeso. Il quotidiano Handelsblatt ricorda l’acquisto della tedesca Hvb da parte di UniCredit, un’operazione che allora funzionò. Ma oggi Berlino e Roma sembrano più allineate che mai nel frenare appetiti transfrontalieri: il quadro è congelato, sia in Germania sia in Italia.

Chi mastica di finanza è convinto che la partita sia tutt’altro che chiusa. Banco Bpm, ora libera da vincoli di offerta ostile, può muoversi con più agio e difendersi utilizzando strumenti legali finora preclusi. Il Tesoro, intanto, non ha più urgenza di riscrivere il decreto sulla Golden Power che la sentenza dei giudici amministrativi avrebbe imposto.
Ma la vera domanda resta in sospeso: è davvero tutelato l’interesse nazionale se il secondo gruppo bancario italiano finisce sotto l’influenza francese? Se per cinque anni Anima (società di gestione del risparmio legata a Bpm) dovrà mantenere la quota di Btp (Buoni del Tesoro Poliennali) e i livelli di impieghi alle imprese italiane, chi vigilerà davvero? E in caso di crisi dei titoli di Stato, chi proteggerà i piccoli risparmiatori?
Il risiko bancario italiano attende il prossimo capitolo. Settembre porterà risposte o nuove domande? Nessuno può dirlo con certezza. Ma, tra scelte strategiche e “protezionismo”, il futuro della finanza tricolore potrebbe parlare sempre più francese.