Mentre Unicredit si prepara al verdetto del Tar del Lazio come se fosse la finale di Wimbledon, i francesi del Crédit Agricole scendono in campo, chiedono l’autorizzazione alla Bce per salire oltre il 20% del capitale di Banco Bpm, (e mettono il bastone tra le ruote all’operazione UniCredit?) La notizia è arrivata con la freddezza tipica degli annunci tecnici: la salita, come riporta Il Sole 24 Ore, oltre la soglia sarebbe motivata “per evitare che la volatilità delle azioni Banco Bpm abbia un impatto sul bilancio”. Ma chi ha un minimo di memoria bancaria sa bene che quando un colosso francese chiede il permesso di salire in una banca italiana, non è mai solo una questione di percentuali. L’obiettivo? “Solo un rafforzamento dell’investimento”. Controllo? “Non ci interessa”. Un posto nel CdA? “Non, merci”. Eppure, con il 20% (che può diventare 29% senza Opa obbligatoria), l’Agricole diventa un azionista bello tosto, di quelli che siedono al tavolo, anche se dicono di non voler parlare.

Nel frattempo UniCredit? Il golden power del governo Meloni ha messo una serie di mine lungo il cammino dell’Ops su Bpm. Il ricorso al Tar, il cui esito è atteso entro il 16 luglio, è l’ultima speranza di Orcel per provare a sbloccare la situazione e puntare a quel 66% di controllo. Ma la concorrenza transalpina è già lì. Se la Bce dovesse dare il via libera, l’Agricole diventerebbe un azionista ingombrante, tanto da rendere l’Ops di UniCredit poco più di una suggestione da convegno Abi. A gettare altra acqua gelida sui sogni di Orcel è stato Massimo Tononi, presidente di Banco Bpm sotto assedio, che ha liquidato l’offerta, stando al quotidiano, come “del tutto insoddisfacente” e ha aggiunto che “gli azionisti l’hanno capito: non ci sono adesioni”. Tradotto: nemmeno sotto tortura stiamo con voi. Morale: UniCredit resta appesa al Tar, Agricole avanza “senza avanzare”, Bpm si gode il corteggiamento multiplo e il risiko bancario si arricchisce di un nuovo capitolo. A chiudere il cerchio sarà forse un rilancio di UniCredit?
