Chi comanda davvero nella finanza europea? Il caso UniCredit-Banco Bpm, esploso nelle scorse settimane, è una cartina di tornasole perfetta per capirlo. Nel mirino c’è il “golden power”, ossia la facoltà che i governi europei hanno, almeno formalmente, di mettere un freno a operazioni considerate strategiche per l’interesse nazionale. Un meccanismo che consente di intervenire su fusioni e acquisizioni che, secondo Roma, possono mettere a rischio settori vitali come energia, telecomunicazioni o, come in questo caso, il sistema bancario.
La Commissione Ue, però, non la pensa così. In un lungo atto d’accusa di oltre 50 pagine, la Direzione Generale Concorrenza – guidata dalla vicepresidente Teresa Ribeira – ha smontato punto per punto il decreto con cui il governo Meloni aveva imposto condizioni a UniCredit sulla sua offerta pubblica di scambio su Banco Bpm. “L’Italia ha violato l’articolo 21 del Regolamento Concentrazioni”, si legge testualmente nella missiva riservata citata da Milano Finanza. Il motivo? Il provvedimento sarebbe stato adottato “senza previa comunicazione alla Commissione”, violando gli obblighi di trasparenza previsti dal diritto comunitario.
Non solo. Per Bruxelles, il decreto “è contrario alle norme dell'Ue sulla libera circolazione dei capitali, alla competenza esclusiva della Bce in materia di vigilanza, e alle principali direttive sui servizi finanziari” (come MiFid II, OICVM, CID, GEFIA). Parole che, per un giurista, suonano come una sentenza.

La critica principale riguarda proprio il cuore del Golden Power: le quattro condizioni imposte dal governo su prestiti, project finance, investimenti di Anima in titoli italiani e l’obbligo di uscire dalla Russia. Secondo la Commissione, “nessuna di queste prescrizioni è compatibile con i principi generali e le disposizioni del diritto Ue”. E non c’è traccia di un rischio reale per la sicurezza pubblica, il solo motivo – secondo le regole europee – che può giustificare restrizioni alla libera circolazione dei capitali.
Per chi non mastica diritto bancario, ecco cosa significa:
- Il “golden power” serve solo per minacce concrete e specifiche alla sicurezza nazionale, non per difendere quote di mercato o influire sulle strategie di una banca.
- Se la BCE ha già dato il via libera a un’operazione, solo la BCE può imporre condizioni di vigilanza.
- Imporre a UniCredit di mantenere certi rapporti tra prestiti e depositi o livelli minimi di project finance è considerato una violazione del mercato unico, non una difesa dell’Italia.
Le critiche di Bruxelles sono chirurgiche:
- Non è stato dimostrato in che modo UniCredit, rispetto agli attuali azionisti di Bpm, possa rappresentare una minaccia per la sicurezza pubblica.
- “Il principale azionista di UniCredit, BlackRock, detiene solo il 7,4% e non esercita alcun controllo sulla banca”, sottolinea la lettera.
- Il decreto espone “ampie aree di criticità” senza spiegare perché una riduzione di prestiti, investimenti o la permanenza in Russia sarebbero un rischio nuovo.
- Sulle sanzioni: “Il decreto fa sì che gli azionisti di Bpm siano meno propensi a aderire all'operazione, rendendo meno attraente la prospettiva di diventare azionista di UniCredit. Molti sono stranieri: il principale è Credit Agricole (19,8%)”.

Un passaggio chiave riguarda le attività russe di UniCredit: secondo Bruxelles, i rischi sono già gestiti dalla Bce, che “ha adottato misure specifiche relative alle attività di Unicredit in Russia”. Imporre nuovi obblighi sarebbe un’ingerenza indebita.
La Commissione è esplicita anche sulle sanzioni: non solo rischiano di bloccare l’operazione, ma colpiscono azionisti europei e internazionali, compromettendo la libera circolazione dei capitali. La Bce, da parte sua, “ha già approvato l'acquisizione di Bpm senza imporre condizioni”.
Per molti osservatori, si tratta di un terremoto giuridico e politico: se passa la linea di Bruxelles, il golden power in versione italiana rischia di diventare una tigre di carta. Dall’altro lato, la maggioranza di governo rivendica la necessità di “difendere l’interesse nazionale e i risparmiatori”. Ma, nei fatti, la partita sembra sfuggire di mano alla politica: chi può davvero intervenire sull’assetto delle banche italiane, se le decisioni cruciali sono nelle mani di Bruxelles e Francoforte?
Nel risiko bancario italiano, quindi, i ruoli sembrano rovesciati. Chi guiderà la prossima mossa? UniCredit ha ottenuto l’appoggio delle istituzioni europee, ma la politica italiana è pronta a digerire questa sconfitta? E soprattutto: quali saranno le conseguenze per il futuro delle grandi fusioni nel sistema bancario nazionale?