Un’offerta pubblica di scambio da 13,2 miliardi, un attacco frontale, una regia contestata e un’ombra ingombrante: quella del governo italiano. Così si presenta la contesa tra Monte dei Paschi di Siena e Mediobanca, esplosa ufficialmente con l’apertura dell’Ops (offerta pubblica di scambio) da parte della banca senese, ma preparata, secondo molti, ben prima della sua formalizzazione tra le operazioni del risiko bancario.
A prendere la parola in modo netto è stato Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, che in una call con analisti non ha lesinato critiche: «Ci sono troppe anomalie», ha dichiarato, contestando tanto la struttura dell’offerta quanto i ruoli multipli dell’esecutivo Meloni. Il riferimento è al Ministero dell’Economia, primo azionista di Mps, ma anche al ricorso al golden power, ovvero quel potere speciale che consente al governo di bloccare operazioni societarie strategiche.
Secondo Nagel, l’operazione non sarebbe né autonoma né neutra. La prova? Il tempismo e i soggetti coinvolti. A novembre 2023, il Tesoro ha ceduto il 15% di Mps, per 1,1 miliardi, a un gruppo ristretto di soggetti finanziari: Caltagirone, Delfin, Banco Bpm e Anima. Una mossa che, secondo Nagel, «ci fa capire che deve esserci stato un piano per Mediobanca quando sono entrati. Altrimenti non ci sarebbe stato alcun ragionevole motivo di investire centinaia di milioni di euro in una banca quando erano già molto esposti su società finanziarie italiane» (Corriere della Sera).
Il banchiere spinge il sospetto oltre: quegli stessi investitori, sostiene, avrebbero poi aumentato rapidamente la loro quota in Mps e subito dopo sarebbe stata lanciata l’offerta su Mediobanca. «Non appare credibile quanto dichiarato dall’amministratore delegato di Montepaschi, ovvero che abbia portato avanti questa operazione in autonomia», ha affermato. «Di fatto, ciò che abbiamo visto è che questa transazione è stata preparata, votata e sostenuta da tutti i principali azionisti, compreso il governo» (Milano Finanza).

Ma non è solo questione di governance occulta. Nagel si sofferma anche sui numeri e la struttura tecnica dell’offerta. Mps propone 2,53 azioni proprie per ogni titolo Mediobanca, senza un premio rispetto al valore di mercato. L’operazione – che scadrà l’8 settembre – richiede un’adesione minima del 35% del capitale, ma l’obiettivo dichiarato è superare il 50% più un’azione, soglia che consentirebbe di sfruttare 2,9 miliardi di crediti fiscali (Dta) e realizzare sinergie da 700 milioni. Tutto questo, però, partendo da una base paradossale: l’offerente, MPS, è sensibilmente più piccolo del target, Mediobanca.
Secondo il ceo di Piazzetta Cuccia, questa asimmetria dimensionale, unita alla presenza degli stessi grandi azionisti da entrambe le parti, genera un effetto distorsivo. «Avere gli stessi soci da una parte e dall’altra in un’offerta senza premio solleva una serie di interrogativi», ha detto. E tra questi c’è il tema cruciale della governance futura.
La possibile fusione darebbe origine a una struttura che Nagel definisce “piramidale e ingestibile”, dove Delfin e Caltagirone avrebbero una presenza significativa non solo in Mediobanca e Mps, ma anche in Banca Generali. Secondo le simulazioni, i due gruppi arriverebbero a controllare il 33% della nuova entità, che a sua volta avrebbe il 13% di Generali. Una matrioska finanziaria, con pochi soggetti a esercitare influenza su un pezzo significativo del sistema bancario e assicurativo italiano.

Non mancano, infine, i rischi legali. Nagel ne ha quantificato uno pari al 35% del Cet1, l’indice che misura la solidità patrimoniale delle banche. «Un rischio con cui i nostri azionisti non hanno mai avuto a che fare», ha detto, avvertendo che l’operazione potrebbe compromettere la strategia industriale One Brand – One Culture varata da Mediobanca fino al 2028.
Dal canto suo, Luigi Lovaglio, amministratore delegato di Mps, continua a difendere la legittimità e la razionalità dell’operazione, e si prepara a nuovi roadshow tra Londra e New York, nel tentativo di attrarre i grandi investitori. Per lui, l’offerta è il frutto di una visione di lungo periodo nata già a fine 2022, e non una manovra teleguidata.