El Jockey di Luis Ortega è un film allucinante. Che non ha senso, che non deve averlo, che non esiste. Bisogna uscir di pagina, uscir di sé, uscir di senno, come diceva Carmelo Bene. El Jockey di sicuro lo fa. È la storia di un fantino argentino di successo (e tossicodipendente) di nome Remo (Nahuel Pérez Biscayart) che, dopo una gara, si trasforma: d’un tratto non è più lui. O forse è lui, ma in mille versioni diverse. È lui, è lei, è tutte le cose. Everything, everywhere, all at once. Che noia una sola identità, per citare il titolo e le parole di Ortega su Domani. Tutto confuso è El Jockey, come d’altra parte s’è spesso mostrato il cinema sudamericano - ne abbiamo parlato tante volte - cinema a sua volta ispirato al substrato di quella parte di mondo cullata dai versi di Borges, cresciuta con Cortazar arrivata a Mariana Enriquez.

Al cinema questi stessi sentimenti si son fatti più feroci con Gaspar Noé: siringhe, violenze, sentimenti così grandi da sembrare voragini che risucchiano chi li guarda e chi li crea, quei film. Un cinema, quello di Noè, che potrebbe sintetizzarsi così: allucinazione collettiva. E una grande allucinazione lo è anche il film di Ortega perché fa a brandelli i significati, la narrazione. Dopo un certo momento Remo è cambiato, ma anche lo spettatore non è più lo stesso, o meglio, non si sente tanto bene: è seduto, esterrefatto, forse annoiato, turbato o scosso, perché non capisce più niente di quello che sta vedendo. Cerca risposta e per fortuna, per una volta, non le trova. Chi è davvero Remo Manfredini? Forse non lo sapremo mai, certo è autodistruttivo e non sa cosa fare dell'amore per Abril (Úrsula Corberó). Su di lui c'è anche il potere degli altri: di chi organizza le gare, di chi ci scommette sopra, di chi implora la vittoria. E a proposito di vittoria, El Jockey è il vero film che vince. Vince come vince ancora Lucky Red (che ha distribuito il film nelle sale). Vincono entrambi nel tentativo di farci vedere al cinema un linguaggio diverso, anche incasinato, anche imperfetto, grezzo, ma sicuramente delirante, alternativo e potente come Queer, Bird, A Different Man. Lontano dalle narrazioni preconfezionate e tutte uguali che “tanto funzionano sempre”. Titoli liberi senza certezze che forse non prendono proprio per mano lo spettatore comune, ma di certo gliela porgono per offrirgli una visione complessa delle cose. Perché El Jockey è tutto quello che non vediamo quasi mai in sala. E proprio per questo, ha vinto.

