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“El Jockey” non vincerà Venezia 2024, ma è già un culto. Tra fantini alcolizzati (e dopati come cavalli), cambi di sesso e gangster alla ricerca di se stessi. E Tokyo de “La casa di carta” si supera

  • di Domenico Agrizzi Domenico Agrizzi

30 agosto 2024

“El Jockey” non vincerà Venezia 2024, ma è già un culto. Tra fantini alcolizzati (e dopati come cavalli), cambi di sesso e gangster alla ricerca di se stessi. E Tokyo de “La casa di carta” si supera
Cosa succede se si uniscono un fantino alcolizzato (e dopato come un cavallo – letteralmente), una “transizione” post-traumatica e un gruppo di gangster alla ricerca di se stessi? Viene fuori “El Jockey” di Luis Ortega, in concorso alla Mostra del cinema di Venezia 2024. Un film surrealista, provocatorio, in cui i personaggi si sforzano di uscire dalla cornice che il regista gli ha costruito intorno: occorre morire e rinascere, per essere liberi. E Ursula Corbero, la Tokyo de “La casa di carta”, è nella miglior versione della sua carriera

di Domenico Agrizzi Domenico Agrizzi

Forse El Jockey (Kill the Jockey) di Luis Ortega non vincerà il Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia 2024: troppa forte la concorrenza di Maria di Pablo Larrain, Queer di Luca Guadagnino e Campo di battaglia di Gianni Amelio, solo per citarne alcuni. Forse, però, non arriverà nemmeno nelle sale italiane (non è prevista, al momento, una data di uscita). Ed è un peccato. Perché al di là della confusione che caratterizza soprattutto la seconda parte, in cui si materializza un cambio di sesso del protagonista, una delle varie “morti e rinascite” che si susseguono nel corso del film, l’opera di Ortega si spinge, quasi esagerando, ma con consapevolezza, sulle soglie dell’incoerenza. El Jockey è la storia di Remo Manfredini (Nahuel Perez Biscayart), talentuoso fantino di Buenos Aires che corre per un gruppo piuttosto mal assortito di gangster. Parte della squadra è anche Abril, interpretata da Ursula Corbero, Tokyo ne La casa di carta. E chissà che, per lei, questo film non possa essere una svolta: forse la miglior performance della sua carriera. Le gare, però, non vanno bene: Remo è dipendente dall’alcol, assume ketamina (sì, la droga per i cavalli) e ormai la sua vita di coppia con Abril sembra essere arrivata a un punto di non ritorno. Peccato che quegli stessi vizi erano ciò grazie a cui il fantino è diventato una leggenda (“La miglior scuola è sempre la disgrazia”). Senza “aiuti” non riesce più a vincere. Per tornare se stesso, Remo deve “morire per poi rinascere”. E dopo un incidente, la seconda vita del campione, che non sarà l’ultima, può avere inizio: solo a quel punto Remo completa la sua “transizione”.

El Jockey, con Tokyo de "La casa di carta"
El Jockey, con Tokyo de "La casa di carta"
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Nella seconda parte del film, dicevamo, cresce la confusione: chi è Remo? Chi sono i gangster che prima lo proteggono e poi lo inseguono? Quell’amore omo-etero-bi-erotico, non è chiaro, c’è sempre stato? Oppure è il nuovo volto del fantino ad aver cambiato anche i suoi aguzzini? Al di là dell’intreccio, però, ciò che emerge è il contrasto tra l’immobilità delle inquadrature, la stabilità della cornice e la voglia dei personaggi di uscirne: una ribellione morale, estetica e logica, con pistole che sparano, sì, ma non quando viene premuto il grilletto. Su tutte, ovviamente, è la metamorfosi di Remo a essere in primo piano: aggira le regole delle gare sull’antidoping ed esce (letteralmente) dal percorso/circuito ordinario. E sono in molti ad aver notato i riferimenti del regista Ortega. Non ci sono solo le eco di Aki Kaurismaki e quella freddezza dei suoi personaggi, che in verità maschera un’inquietudine esplosiva; la recitazione di Biscayart ricorda un po’ quella del protagonista di Holy Motors di Leos Carax, mentre non ci sembra impossibile che per alcune scene Ortega abbia pensato a Stanley Kubrick e il suo 2001: Odissea nello spazio. Ed è dunque la tensione tra la fermezza della macchina da presa e il movimento dei personaggi a produrre quell’energia che fa evolvere il film e che quasi trascina la storia verso il suo epilogo. E la domanda: “chi è chi?”, resta, forse, irrisolta. Siamo partiti da qui: El Jockey non vincerà quest'edizione della Mostra. Speriamo che, quando la kermesse del Lido finirà, il pubblico italiano possa vederlo in sala.

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