Tra le numerose operazioni strategiche messe in atto nei primi sette mesi dell’anno, spicca la netta affermazione del Banco Bpm guidato da Giuseppe Castagna e la battuta d’arresto per Unicredit. Sebbene Piazza Affari, premiando Unicredit con una capitalizzazione da 100 miliardi di euro, non abbia reagito in modo particolarmente negativo, l’offerta pubblica di scambio promossa da Andrea Orcel su Banco Bpm, con un premio simbolico dello 0,5% rispetto ai corsi di Borsa, è rimasta costantemente al di sotto dei valori di mercato e si è chiusa anticipatamente, registrando un’adesione pari appena allo 0,52% del capitale. A quanto riporta Corriere Economia, l'esito deludente è imputabile a due fattori: da un lato, la solida presenza territoriale del Banco Bpm, che ha goduto del pieno supporto delle aree in cui è storicamente radicato; dall’altro, un possibile errore di valutazione da parte di Unicredit, che sembrava puntare su un’azione a sorpresa rivelatasi inefficace. A questo si aggiunge l’intervento controverso del governo, che ha minacciato l’attivazione del golden power in una contesa tutta interna al sistema bancario nazionale. Al netto di ogni considerazione, la percentuale finale di adesione impone a Unicredit una riflessione profonda. Archiviata questa prima fase, il futuro di entrambe le banche è destinato a cambiare. La direzione è tracciata da mercato, BCE e azionisti. Unicredit, per ora, appare restia a concentrarsi sull’Italia, nonostante l’impegno chiesto a Orcel dal consiglio di amministrazione al momento della nomina: riequilibrare il peso delle attività del gruppo a favore del mercato italiano. Orcel ha ottenuto risultati brillanti in Borsa, con un forte apprezzamento del titolo, ricchi dividendi e una soddisfazione diffusa tra gli azionisti, ma dal punto di vista industriale ha mancato due mosse chiave: prima su Mps e ora su Banco Bpm. Le ipotesi su un possibile rilancio dell’Ops esistono, ma Orcel non ha fornito segnali concreti. Piuttosto, ha lasciato intendere un possibile aumento della partecipazione in Commerzbank fino a sfiorare il 30% entro la fine del 2025, nonostante i rapporti con il governo tedesco si confermino tesi. Parallelamente, dopo aver investito 376 milioni di euro in Aion Bank e in Vodeno, punta ad ampliare il business digitale in Polonia, così come in Grecia tramite Alpha Bank. Tuttavia, queste operazioni appaiono insufficienti a colmare lo spazio strategico da qui alla fine dell’anno, soprattutto per un manager con le ambizioni di Orcel. Restano da monitorare, in questo senso, le partecipazioni strategiche: la quota del 5% in Generali, su cui ha già iniziato a disinvestire, e l’1,9% detenuto in Mediobanca. Unicredit può ancora svolgere un ruolo di primo piano nel risiko bancario italiano, ma per farlo dovrà definire un piano di crescita sostenuto da nuove alleanze.

Castagna, dal canto suo, archivia due mesi memorabili: il 23 maggio ha festeggiato il quarto scudetto a sorpresa del Napoli, e il 22 luglio ha registrato il ritiro di Unicredit dall’offerta sul Banco Bpm. Più che per i successi personali, però, il Ceo può rivendicare il riconoscimento di un modello di gestione fondato sull’interazione con i territori e sulla presenza nel gruppo delle fabbriche prodotto. Quest’ultimo elemento ha consentito di far derivare metà dei ricavi del gruppo dalle commissioni, riducendo così la dipendenza dagli interessi e quindi l’impatto di eventuali tagli dei tassi. I dati premiano chiaramente Castagna: negli ultimi cinque anni il Banco Bpm ha erogato mutui per 15 miliardi di euro e finanziamenti alle imprese per 100 miliardi, mentre il total shareholder return ha raggiunto il 1000%. Attualmente il titolo resta solido intorno agli 11 euro, nonostante il passo indietro di Unicredit, smentendo le aspettative di un ribasso. Dopo gli outlook positivi delle tre principali agenzie di rating, l’attenzione si sposta ora sui risultati semestrali attesi per martedì 5 agosto, ma anche sulle possibili nuove mosse strategiche. Il Banco Bpm detiene il 9% di Mps, banca al centro del movimento in atto su Mediobanca, configurando così una potenziale direttrice di crescita. Non è l’unica via. Castagna ha dichiarato di voler individuare un’alleanza capace di far compiere un salto dimensionale al gruppo, mantenendone l’identità territoriale. Tra i possibili partner: Mps, per la sua radicata presenza locale; Bper, che condivide un’identità popolare affine a quella delle ex banche Milano e Verona da cui nacque il Banco Bpm nel 2017; e i francesi di Crédit Agricole, primi azionisti del Banco con oltre il 20% del capitale, fortemente legati al credito cooperativo d’Oltralpe. La direzione che prenderà Castagna è ancora da definire. Tutto ruoterà intorno all’esito dell’Ops del Monte dei Paschi su Mediobanca, partita cruciale da cui dipenderanno le successive mosse di tutti gli attori coinvolti. Una cosa è certa: il tempo delle attese è finito, soprattutto per Unicredit, che ora ha tutto l’interesse a rilanciare.

Il risiko Generali-Mediobanca
Con una capitalizzazione superiore ai 50 miliardi di euro, Generali si conferma regina di Piazza Affari e potrebbe addirittura superare le previsioni del proprio piano strategico. Un aggiornamento cruciale è atteso mercoledì, quando l’amministratore delegato Philippe Donnet presenterà i risultati del primo semestre: un’occasione per verificare se il percorso avviato a gennaio con il nuovo piano stia procedendo nella giusta direzione. Secondo le stime raccolte dagli analisti in vista della semestrale, i premi lordi dovrebbero superare i 50 miliardi di euro, mentre l’utile netto potrebbe toccare i 2,2 miliardi, in crescita rispetto ai 2 miliardi dello stesso periodo del 2023. Questi dati, se confermati, rafforzerebbero la fiducia nella possibilità di centrare l’obiettivo di distribuire sette miliardi di euro di dividendi agli azionisti entro il 2027. Gli analisti di Berenberg, in una recente nota intitolata «Forte generazione di cassa e buyback in aumento», hanno sottolineato che il piano attuale prevede oltre 11 miliardi di euro di generazione di cassa netta entro il 2027. A loro volta, gli esperti di Morgan Stanley stimano che Generali possa superare le attese sugli utili del 2025-2026 del 5-7%, grazie soprattutto ai margini favorevoli del comparto danni. Questo andamento permetterebbe alla compagnia di accumulare, nel periodo di piano, fino a 1,5 miliardi da destinare ad acquisizioni o a ulteriori ritorni per gli azionisti. Attualmente, il titolo Generali è scambiato con uno sconto del 15% rispetto ai principali concorrenti, lasciando spazio a una possibile rivalutazione in Borsa. Generali è dunque una società solida, capace di offrire rendimenti generosi ai propri azionisti. Ma al tempo stesso resta un gruppo conteso. Da un lato ci sono azionisti rilevanti come Delfin e il gruppo Caltagirone, che da tempo auspicano un cambiamento nella governance e una maggiore accelerazione della crescita. Dall’altro, vi sono le strategie di Mediobanca, che detiene il 13% di Generali, il cui amministratore delegato Alberto Nagel ha aperto un nuovo fronte con l’Ops su Banca Generali, in pieno confronto con Monte dei Paschi, che a sua volta ha lanciato un’offerta pubblica su Mediobanca. Il prossimo snodo sarà rappresentato dal consiglio di amministrazione di Generali, convocato per martedì 6 agosto. In quella sede, la compagnia deciderà se proseguire le trattative con Mediobanca per definire gli accordi distributivi nell’ambito dell’insure-banking, già avviati con Banca Generali, di cui il Leone detiene il 51%. Un parere favorevole aprirebbe la strada alla convocazione dell’assemblea straordinaria di Mediobanca, prevista per il 21 agosto, subordinata al via libera della Bce atteso per il 18 agosto e alla successiva autorizzazione della Consob, prevista entro cinque giorni. Tutto dipenderà, comunque, dall’esito dell’assemblea di Mediobanca. L’obiettivo è far partire l’OPS su Banca Generali entro la fine di agosto, o comunque prima che si concluda l’offerta lanciata da Mps su Mediobanca, la cui scadenza è fissata per l’8 settembre.

Il piano di Mediobanca rischia dunque di sovrapporsi agli sviluppi dell’Ops avviata da Siena. La banca guidata da Luigi Lovaglio può contare su un sostegno significativo: il 30% del capitale di Mediobanca, detenuto da Delfin (poco sotto il 20%), Francesco Gaetano Caltagirone (circa il 10%) e altri investitori stimati attorno al 5%. Secondo quanto dichiarato da Nagel la scorsa settimana, una volta lanciata sul mercato, l’OPS su Banca Generali sarà «legalmente vincolante e non potrà essere ritirata», a prescindere dal fatto che Mediobanca sia o meno ancora indipendente oppure già parte del gruppo MPS. In questo scenario, Generali si troverà in una posizione determinante. Qualora l’assemblea di Mediobanca ottenesse il via libera con almeno il 51% del capitale presente, l’offerta su Banca Generali verrebbe lanciata mentre quella rivale di Mps su Mediobanca sarebbe ancora in corso. Se Generali decidesse di cedere subito a Mediobanca la sua quota del 51% in Banca Generali, l’operazione verrebbe portata a termine, con l’effetto di rompere lo storico legame tra la compagnia assicurativa e l’istituto milanese. Tuttavia, non è da escludere che, proprio verso fine agosto, MPS possa avanzare nella sua Ops su Mediobanca, magari con l’aggiunta di una componente in contanti per renderla più competitiva. In tal caso, Siena potrebbe già aver acquisito una quota rilevante della banca. Il consiglio di amministrazione di Generali sarà chiamato a valutare l’intera cornice industriale dell’intesa a tre, inclusa la durata dell’accordo e la congruità dell’offerta in azioni presentata da Mediobanca per valorizzare la controllata guidata da Gian Maria Mossa. Generali ha sottolineato che l’intero processo si sta svolgendo nel pieno rispetto delle regole e delle procedure aziendali. In autunno, se il quadro si sarà chiarito, il gruppo tornerà a esaminare il tema della partnership con Bpce-Natixis nell’asset management. Una partita finora rimasta in secondo piano, ma che per il vertice del Leone rappresenta un’opportunità strategica per dar vita al secondo operatore europeo nel settore. In Italia, aveva osservato Donnet, non esistono al momento alternative comparabili per dimensioni e volontà di strutturare una partnership paritaria. Tuttavia, un accordo vincolante con i francesi non è ancora stato raggiunto e, in ogni caso, dovrà ottenere l’approvazione del consiglio di amministrazione.
