Il risiko del potere finanziario italiano è entrato nella fase decisiva. A oltre vent’anni dalla morte di Enrico Cuccia, l’uomo che dalla torre d’avorio di Mediobanca manovrava le leve del capitalismo nazionale, il suo “salotto buono” rischia di passare definitivamente di mano. Il 14 luglio partirà l’offerta pubblica di scambio lanciata da Monte dei Paschi di Siena su Mediobanca: una mossa che, secondo diverse fonti finanziarie, fino a pochi mesi fa appariva quasi una provocazione. Oggi, invece, potrebbe cambiare per sempre gli equilibri nel cuore della finanza tricolore. Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca da 18 anni, è indicato da molti analisti come il primo nome destinato a cadere. L’offensiva guidata dal costruttore Franco Caltagirone e dalla holding Delfin, come riportato da fonti vicine ai grandi azionisti, mette nel mirino anche Philippe Donnet, CEO di Generali imposto da Nagel nel 2016. L’obiettivo finale, riferiscono ambienti finanziari, non è solo Mediobanca ma soprattutto il controllo delle assicurazioni Generali, che gestiscono asset per oltre 800 miliardi di euro. Monte dei Paschi di Siena, banca salvata dallo Stato in tre occasioni, ha oggi un peso rilevante grazie al 30% del capitale nelle mani di Caltagirone e Delfin. L’Ad di Mps, Luigi Lovaglio, ha dichiarato che basterebbe convincere un altro 5% di soci per raggiungere una maggioranza di fatto. A supporto di questa tesi, fonti di mercato evidenziano come siano pronti a intervenire anche fondi previdenziali vigilati dal governo, oltre a nomi importanti come Benetton e Unicredit. Fonti vicine a Mediolanum raccontano di un progressivo sfaldamento del tradizionale patto di consultazione, storicamente pilastro della gestione Nagel.

L’esecutivo gioca un ruolo da protagonista, spiegano fonti istituzionali: oltre a detenere quote significative in Mps, ha utilizzato strumenti regolatori per influenzare operazioni come quella tentata da Unicredit su Banco Bpm, che ha subito forti restrizioni grazie al “golden power”. Il braccio di ferro con Andrea Orcel, Ceo di Unicredit, è emblematico del clima politico-finanziario che si respira. Oggi, osservano esperti, Orcel appare allineato con la strategia di Caltagirone e Delfin per non uscire dal giro dei grandi giochi. Mediobanca ha provato a reagire con un’offerta su Banca Generali, ma la mancanza di una maggioranza in assemblea ha bloccato la manovra, secondo fonti societarie. Nel frattempo, come riportato dalla procura di Milano, è stata aperta un’indagine sulla vendita del 15% delle azioni Mps tramite Banca Akros, che ha finito per favorire i grandi investitori protagonisti della scalata. Il cambio di controllo su Mediobanca e Generali potrebbe avere impatti rilevanti sul sistema del risparmio italiano. Secondo dati raccolti da First Cisl, le commissioni nette pagate dai clienti nel primo trimestre 2025 sono cresciute del 13%, compensando il calo dei prestiti alle imprese e la riduzione dei costi operativi, che hanno portato alla chiusura di filiali e alla perdita di migliaia di posti di lavoro. Gli analisti sottolineano che la concentrazione bancaria, con i primi cinque gruppi che controllano il 65% del mercato, rischia di ridurre ulteriormente la concorrenza. Il controllo di Generali rappresenta il vero premio della scalata. Secondo fonti finanziarie, mettere le mani su questo gigante assicurativo significherebbe influenzare investimenti per centinaia di miliardi e ridefinire la strategia del risparmio gestito. Il piano Donnet, che prevedeva alleanze internazionali, potrebbe così essere accantonato per privilegiare maggiori rapporti con il governo italiano. L’assemblea di settembre sarà decisiva. Se Nagel dovesse cedere, anche Donnet è pronto a lasciare, raccontano ambienti interni. I nuovi proprietari potrebbero nominare un Ad interno a Generali, con nomi come Giulio Terzariol che circolano tra gli addetti ai lavori, o puntare a manager esterni più vicini agli interessi di Caltagirone e Delfin.
