Che fine ha fatto l’imperatore di Mediobanca? Fino a ieri Alberto Nagel si atteggiava a baluardo della finanza italiana contro le mire “barbare” del Tesoro su Mps. Oggi invece, nel bunker di Piazzetta Cuccia, si contano i superstiti: gli azionisti storici sono spariti in modalità “ghosting” e ora anche i sindacati lo mollano senza troppi giri di parole. Le principali sigle – Fabi, First Cisl, Uilca, Unisin – dicono “no grazie” al tentativo di sabotare l’operazione Siena. Altro che difesa dell’identità bancaria: qui si parla di posti di lavoro, sportelli e stabilità. E i lavoratori, a quanto pare, hanno capito che il braccio di ferro orchestrato da Nagel serve più a lui che al sistema Paese. Risultato? Il piano per frenare l’Ops del Tesoro sembra più una crociata personale che una strategia d’impresa. E quando pure i sindacati ti voltano le spalle – quelli che di solito vengono accusati di essere conservatori e barricadieri – allora vuol dire che sei davvero rimasto solo, caro Alberto.

La verità è che la difesa a oltranza di Mediobanca rischia di trasformarsi in una figuraccia epocale. Altro che “difesa dell’italianità”: qui c’è un amministratore delegato che, nel tentativo di non perdere potere, sta perdendo credibilità. E mentre Nagel gira a vuoto, a Roma il Tesoro – con buona pace di Rocca Salimbeni – prepara il brindisi per la maxi operazione di consolidamento. Il finale è già scritto: o Nagel cambia spartito, o sarà ricordato come il manager che voleva fermare l’orchestra quando il valzer era già cominciato. Con buona pace di Mediobanca, dell’Ops e dell’orgoglio tricolore.
