Dimenticate l'immagine delle banche italiane come zavorre della finanza europea. Oggi sono i titoli più corteggiati del listino. In pochi anni, il settore ha conosciuto una crescita poderosa, con performance borsistiche che hanno quadruplicato i valori e riportato il sorriso agli investitori. Ma dopo tanta euforia, la domanda è inevitabile: siamo al picco della montagna o c’è ancora margine per salire? L’industria bancaria italiana vive un momento di straordinaria salute. I numeri parlano chiaro: patrimonializzazione solida, utili consistenti, dividendi generosi. Il mercato non resta indifferente: oggi la maggior parte delle banche quota a un valore superiore rispetto al proprio patrimonio netto tangibile – un netto cambio di paradigma rispetto al decennio post-Lehman, quando lo scetticismo regnava e le quotazioni restavano depresse. Questo “indice” (Price to Tangible Book Value sopra 1) è il termometro di un ritrovato ottimismo sulla gestione e sulla capacità futura di generare profitti. Tuttavia, gran parte del rally recente ha un protagonista chiave: l’andamento dei tassi d’interesse. Dopo anni di denaro a costo zero, la stretta monetaria delle banche centrali – motivata dalla necessità di raffreddare un’inflazione fuori controllo – ha rilanciato i margini di guadagno degli istituti, grazie a prestiti più redditizi. Ma con l’inflazione ora in fase calante, il ciclo dei rialzi sembra avviarsi alla fine. E se i tassi dovessero iniziare a scendere, anche i profitti potrebbero rallentare.

A rendere il tutto più interessante – o più rischioso, secondo alcuni – è il fermento sul fronte delle fusioni. Le ipotesi di operazioni straordinarie sono sempre più frequenti: si vocifera di Unicredit interessata a Banco Bpm, di Mps che guarda a Mediobanca, di Bper pronta a consolidare la propria posizione con Popolare di Sondrio. In questo contesto, i prezzi volano anche solo per aspettative, vere o presunte, di aggregazioni imminenti. Ma attenzione: l’entusiasmo da M&A può gonfiare le valutazioni a livelli non sempre sostenibili. A lanciare un segnale di prudenza nel bel mezzo del risiko bancario è stato di recente anche Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo. Parlando delle valutazioni correnti, ha invitato a non dare per scontato che tutte le attese si traducano in realtà: “Se il prezzo incorpora premi legati a fusioni o sinergie future, un investitore dovrebbe fermarsi a riflettere”. Un invito a distinguere tra valore reale e aspettative.
