Cosa resta, dopo il passo indietro di UniCredit su Banco Bpm, dell’ambizioso progetto di Andrea Orcel di dare vita a un grande polo bancario europeo? La domanda non è retorica: mentre a Piazza Gae Aulenti si chiude una porta, a Francoforte si apre (a forza) un portone, quello di Commerzbank. La banca guidata da Orcel ha infatti superato il 20% del capitale della seconda banca tedesca, come certifica un documento ufficiale depositato il 29 luglio (fonte: MF-Milano Finanza). La partecipazione, salita dal 19,20% al 20,17%, è destinata ad aumentare ancora, fino a sfiorare il 28%, attraverso la conversione di derivati in azioni. In gergo tecnico, i derivati sono strumenti finanziari complessi usati spesso per proteggersi dai rischi di oscillazione dei prezzi (“hedging”), ma nel caso specifico rappresentano anche una leva strategica per avvicinarsi all’integrazione.
Il passaggio dalla finanza derivata alle azioni ordinarie, spiegano fonti vicine al dossier, non serve solo a “rafforzare la posizione negoziale” nei confronti dei vertici di Commerzbank e del governo tedesco, ma rappresenta una mossa di efficienza finanziaria. “Mantenere una posizione derivata di lungo periodo presenta costi crescenti di hedging”, ricorda Milano Finanza, quindi trasformare tutto in azioni è più conveniente e permette a Orcel di posizionarsi meglio in vista di eventuali trattative.

Nessuna offerta pubblica in vista, però. Superare il 30% del capitale in Germania obbligherebbe UniCredit a lanciare un’Opa (Offerta Pubblica di Acquisto), ovvero una proposta formale di acquisto delle azioni rimanenti, ma da Piazza Gae Aulenti non arriva alcuna indicazione in questa direzione. La vera posta in gioco, in realtà, è il tavolo negoziale europeo e il sogno – non troppo nascosto – di Orcel di costruire un vero gruppo bancario paneuropeo.
Il governo tedesco, però, non la vede così. Il cancelliere Friedrich Merz ha definito senza mezzi termini l’iniziativa di UniCredit “chiaramente un’acquisizione ostile, rivolta sia a Commerz sia alla Repubblica Federale”, aggiungendo che “la fusione creerebbe un istituto che, per struttura di bilancio, potrebbe rappresentare un rischio sistemico per i mercati” (MF-Milano Finanza). Un modo chiaro di dire che Berlino non è pronta a cedere uno dei suoi simboli, tanto meno agli appetiti italiani.
Nel frattempo, la partita su Banco Bpm resta aperta. L’uscita di UniCredit ha lasciato spazio a nuovi possibili scenari: ora gli occhi sono tutti puntati su Crédit Agricole, la banca francese che negli ultimi mesi ha rafforzato la sua presenza nel capitale di Bpm e ha chiesto l’autorizzazione a salire oltre il 20%, ma ha dichiarato di non voler promuovere nessuna “concentrazione”, né superare la soglia dell’Opa obbligatoria. Un approccio prudente, che lascia intendere la volontà di mantenere il controllo della situazione senza esporsi a rischi regolatori.

La condotta di Banco Bpm in questa fase è tutt’altro che passiva. L’istituto milanese ha respinto come “ostile e inadeguata” l’Ops (Offerta Pubblica di Scambio) lanciata da UniCredit, e ha puntato sulla forza del proprio radicamento territoriale e sul ruolo di sostegno a famiglie e imprese. In banca, però, sanno bene che “la finalità esclusiva della crescita di valore per gli azionisti non è sostenibile se non è soddisfatta la corrispondenza alla ragion d’essere di una banca”, come sottolinea MF. Se si dimentica questa missione, il rischio è che la banca si trasformi in qualcosa di altro: una mera macchina finanziaria.
Tuttavia, le mosse della politica e delle autorità restano cruciali. Il famoso “golden power”, cioè il potere del governo italiano di intervenire per proteggere asset ritenuti strategici, ha avuto un ruolo fondamentale nel bloccare l’offerta di UniCredit. La Commissione Ue, però, tiene il dossier ancora aperto, cercando una regolamentazione di carattere generale che tenga conto dei diversi casi nazionali, ma che rischia di scontrarsi con le diverse pratiche nei Paesi membri: in Germania il governo interviene senza nemmeno una legge ad hoc, in Spagna accade lo stesso.
Nel frattempo, il secondo azionista di Banco Bpm, Davide Leone (Leone & Partners), ha fatto sapere che “qualunque operazione che dovesse coinvolgere Banco Bpm non potrà prescindere dalla valutazione fatta da UniCredit, che rappresenterà una base di partenza per chiunque vorrà convolare a nozze con Piazza Meda” (Milano Finanza). Un messaggio chiaro: nessuno sconto sul valore della banca. Anzi, il mercato ha già “premiato” questa posizione, con il titolo Bpm che oggi vale più di quanto offerto da UniCredit. “Gli azionisti di Bpm hanno aspettato anni per vedere riconosciuto il valore della banca”, ricorda Leone, che aggiunge: “Il golden power non ha danneggiato nessuno”.
Il risiko bancario europeo si complica: UniCredit si sposta verso la Germania, Banco Bpm resta in cerca di una direzione tra Parigi e Milano, mentre Bruxelles osserva e cerca di dettare le regole di un gioco dove le leggi sono spesso più sfumate delle intenzioni. Ma la vera domanda è: chi riuscirà davvero a prendersi la chiave del risiko bancario, e come cambierà il potere tra Roma, Berlino e Parigi nei prossimi mesi?