“Ursula chi?”. Così, dopo le polemiche sull'accordo tra Ue e Trump sui dazi, Daniele Capezzone inaugura la sua requisitoria contro gli eurolirici (momentaneamente?) pentiti, e già nelle prime battute sfodera il cappio retorico:
Scrive su Libero il direttore editoriale del giornale: “Nella solita Italia della viltà, del passaggio istantaneo dall’osanna al crucifige, da Piazza Venezia a Piazzale Loreto, la sinistra si aggiudica un nuovo primato: quello delle palate di fango contro Ursula von der Leyen alla quale aveva però indirizzato - fino all’altro ieri - solo colate di bava”.
Il teatro è quello noto: i salotti della politica italiana, dove oggi si grida all’anatema e ieri si tessevano peana. Capezzone snocciola i protagonisti con sarcasmo: Paolo Gentiloni, “anzi il conte Gentiloni”, si ritrova “sparare a palle incatenate” su Repubblica contro i dazi di Trump e le scelte europee, ma per Capezzone “deve senz’altro trattarsi di un omonimo del Gentiloni che, fino a pochi mesi fa, era uno dei più zelanti commissari del primo gabinetto von der Leyen”. Eppure, oggi, Gentiloni denuncia la “super tassa” dei dazi e si scopre critico su quel Patto di stabilità che proprio lui contribuì a plasmare. “La prima cosa da fare sarebbe proprio smantellare il gabbione del suo (di Gentiloni, intendo) ‘nuovo’ Patto di stabilità”, taglia Capezzone.

Poi ci sono i grillini: “Pure loro sparacchiano a vanvera”. Capezzone li definisce “un partito scisso (freudianamente) da quel Movimento 5 Stelle che nel 2019, quando Ursula iniziò la sua navigazione per soli 9 voti di margine, furono determinanti per quella partenza”. I numeri non mentono: “Il voto decisivo di ben 14 eurodeputati pentastellati”, quelli che allora si fregiavano di essere “ago della bilancia”. Ora, però, “pontificano e denunciano”.
Elly Schlein guida la carica del Pd: “Pare trasformata da eurolirica a euroscettica (magari)”. Anche qui, Capezzone insinua lo scambio di persona: chi ora tuona contro la presidente tedesca sarebbe lo stesso che “ha fatto da claque alla tedesca. Non solo avallando ma applaudendo tutte le scelte più sciagurate e sballate”, dal Green Deal versione uno con Frans Timmermans, al Green Deal versione due di Teresa Ribera, ora “madonna pellegrina laicizzata e spagnoleggiante” del partito.
E ora? “Il gioco di società è fingere che la von der Leyen stia solo sul conto politico della Meloni”, che “la volta scorsa era all’opposizione in Ue e pure stavolta (luglio 2024), insieme a Matteo Salvini, votò inizialmente contro la riconferma della von der Leyen”. Capezzone ricorda: “Il Pd e i giornali di riferimento (cioè quasi tutti) si stracciarono le vesti e si strapparono i capelli, pronosticando che l’Italia sarebbe stata marginalizzata e privata di una vicepresidenza della Commissione”. E adesso, “sono loro a far finta di non conoscere la tedesca”.

Capezzone inchioda la sinistra italiana su un altro punto: “Sarà l’ora di svelare a questi Fregoli, a questi virtuosi del trasformismo, che c’è un modo per risolvere la questione: volendo, possono sfiduciare la Commissione con le opportune maggioranze all’Europarlamento. Ma ovviamente non lo faranno”.
Non manca la stoccata ai media: “Per anni, dai tempi di Jean-Claude Juncker, qualunque sussurro contro Bruxelles e contro la Commissione veniva bollato come un atto di fascismo. E per von der Leyen è a lungo accaduto lo stesso”. Ma oggi, perfino Marco Bresolin sulla stampa eurolirica, “l’ha paragonata a Fantozzi nella sua ‘genuflessione’ a Trump”.
“Tutto molto istruttivo”, conclude Capezzone. Le critiche a Ursula a suo dire non mancherebbero certo di fondamento: “Resta una forte perplessità sui pulpiti da cui le si indirizzano - solo ora e fuori tempo massimo - queste infervorate prediche. Anche perché fino all’altro ieri gli stessi spietati critici di oggi - al massimo - le lanciavano petali di rose”.