Milano è un paradosso che cammina veloce, vestito bene e sempre con lo smartphone in mano. La città dove puoi cenare a 300 euro in Brera, mentre a tre fermate di metro c’è chi aspetta in fila per una doccia pubblica o un panino imbottito. È la capitale italiana degli eventi, della fashion week, del design, delle startup. Ma anche quella dove una persona su tre è a rischio povertà o esclusione sociale (dati Eurostat 2023). Sì, una su tre. Il volto della nuova povertà? Ha il badge al collo e le occhiaie di chi non dorme più la notte. Non pensiamo più ai poveri come a “clochard”, a corpi sdraiati sui cartoni in Centrale. I nuovi poveri hanno facce insospettabili. Sono padri separati che non riescono a pagare due affitti, sono lavoratori precari che vivono in co-living da 700 euro al mese, sono donne sole con un figlio che fanno tre lavori e stanno comunque sotto la soglia di dignità. Nel 2024, secondo la Caritas Ambrosiana, 31.143 persone si sono rivolte ai centri di ascolto di Milano per un bisogno primario: cibo, casa, salute, lavoro, ascolto. Il 45% sono italiani. E quasi la metà ha tra i 35 e i 64 anni. La fascia produttiva. Quella che dovrebbe “trainare” il paese. In una città dove l’affitto medio per un bilocale supera i 1.300 euro al mese, e dove il carrello della spesa è aumentato del 13% in un anno, perdere l’equilibrio è questione di settimane. Basta una malattia, un contratto non rinnovato, una separazione, un lutto. E la scala mobile del benessere si trasforma in un dirupo.

Milano è anche la città più single d’Italia. E questo complica tutto. Secondo Istat, oltre il 52% delle famiglie milanesi è composta da una sola persona. Siamo la città più “individuale” d’Italia. Apparentemente libera. Ma spesso, in realtà, terribilmente sola. Perché se sei single e povero, non hai ammortizzatori. Nessuno ti copre le spalle, nessuno condivide la bolletta, nessuno cucina quando torni a casa. E così, la solitudine diventa un acceleratore di crisi. Opera San Francesco: in questa città che corre, che seleziona, che filtra solo chi performa, esistono luoghi che resistono. Uno di questi è l’Opera San Francesco per i Poveri, attiva dal 1959. Ed è un rifugio che ti ricorda che sei ancora un essere umano. Nel 2023 ha distribuito 834.420 pasti gratuiti. Ha accolto oltre 21.000 persone nei suoi ambulatori medici. Ha fornito più di 34.000 docce. E ha vestito migliaia di uomini e donne, grazie al suo guardaroba sociale. Cosa vuol dire tutto questo? Che il problema non è marginale. È strutturale. E riguarda sempre di più persone che fino a ieri “ce la facevano”. Io sono una volontaria dell’Opera. E ogni volta che varco quella soglia capisco quanto la narrativa pubblica sia falsata. Là dentro non vedi falliti. Vedi sopravvissuti. Vedi dignità. Vedi chi non chiede pietà, ma solo di non essere dimenticato. Ho parlato con persone che lavoravano in banca. Con artigiani crollati dopo il Covid. Con uomini che dormono in macchina ma ogni mattina si lavano per sembrare ancora “normali”.

L’altra Milano. Quella che non fotografa nessuno. Milano è bravissima a comunicare. Ha costruito una narrazione scintillante di sé. Eppure, in parallelo, è in corso una desertificazione sociale. Le case popolari sono fatiscenti e insufficienti. Il reddito di cittadinanza è stato smantellato, ma nessun vero sostegno l’ha sostituito. Le mense sono piene, i dormitori anche. Ma il vero dramma è che oltre il 70% delle persone in difficoltà non chiede aiuto per vergogna o rassegnazione. Non vado all’Opera per “fare del bene”. Ci vado per guardare in faccia la verità. E per provare, nel mio piccolo, a fare rumore. Perché il silenzio è colpevole. La povertà non è una colpa. È un fallimento del sistema. E chi fa finta di non vedere – politici, imprenditori, influencer – è complice. Cosa possiamo fare, noi, nel concreto? Smettere di dire “non tocca a me”. Donare tempo, denaro, risorse. Raccontare la verità anche sui social, nelle aziende, nei media. E soprattutto: non giudicare. Mai. Perché a Milano basta inciampare per finire dall’altra parte del vetro. E chi oggi chiede un pasto caldo, magari ieri era quello seduto accanto a te in metro, con le Hogan pulite e il badge aziendale. Non c’è niente di romantico nella povertà. Ma c’è moltissimo di umano nella solidarietà. E se questa città ha ancora un cuore, è lì che batte. Tra chi serve un piatto. Tra chi ascolta. Tra chi non scappa via quando incontra la fragilità.
