Un sussulto tellurico scuote la finanza italiana, trasformando il tradizionale equilibrio di poteri in un campo di battaglia senza precedenti. A innescare una nuova miccia è stato l’annuncio dell’offerta pubblica di scambio (Ops) del Monte dei Paschi di Siena (Mps) su Mediobanca, ma il terreno era già scosso da mesi di manovre strategiche. "Il terremoto", scrive Giovanni Pons su La Repubblica Affari & Finanza, "ha cominciato a sentirsi da fine settembre, quando Andrea Orcel ha risvegliato Unicredit dal letargo per proiettarlo nel risiko bancario internazionale".
In questo scenario, a contendersi il dominio non ci sono solo banche e fondi, ma vere e proprie dinastie imprenditoriali. Da una parte Francesco Gaetano Caltagirone e Francesco Milleri, il fiduciario degli eredi Del Vecchio; dall’altra banchieri di lungo corso come Luigi Lovaglio e Andrea Orcel. Sullo sfondo, il governo Meloni e un crocevia di interessi che va "da Siena a Piazzetta Cuccia", fino a Trieste, dove Generali si staglia come cassaforte della finanza italiana.
Il rilancio del Monte dei Paschi di Siena
Mps, la banca più antica del mondo, è rinata sotto la guida di Luigi Lovaglio. Dopo una cura da cavallo e un aumento di capitale da 2,5 miliardi di euro, sottoscritto principalmente dal Tesoro, la banca è tornata a produrre utili e vanta un capitale in eccesso di 2 miliardi. Questo successo ha permesso allo Stato di ridurre la propria quota al 11,7%, favorendo l’ingresso di Caltagirone e Delfin (19,7%), ora pronti a farne il perno di un terzo polo bancario italiano.
La posta in gioco non è solo Mediobanca, ma anche Generali, "la cassaforte d’Italia" con oltre 800 miliardi di masse gestite. Con il supporto del 9,9% di azioni Mediobanca detenute da Caltagirone e del 19,7% in mano a Delfin, Lovaglio mira a stabilizzare il Leone di Trieste, sottraendolo alle mire francesi.
Il fortino Mediobanca e l’ombra lunga di Generali
Leonardo Del Vecchio, prima della sua scomparsa, aveva puntato Mediobanca acquistando il 19,75% delle azioni. Tuttavia, nonostante il peso azionario, il gruppo Delfin non è riuscito a incidere sulla governance. Il rinnovo del cda nel 2023 ha sancito il fallimento di un accordo tra Milleri, Delfin e il ceo Alberto Nagel, mentre il mercato ha premiato la gestione con dividendi robusti. Ora, però, la situazione potrebbe cambiare: "I due azionisti si sono messi alla ricerca di una banca disposta a entrare nel capitale di Mediobanca", e l’hanno trovata in Mps.
Generali, da parte sua, si trova al centro di un’altra partita. La joint venture annunciata con Natixis, che porterebbe risorse italiane sotto gestione francese, ha irritato Caltagirone e Milleri, oltre che il governo Meloni. "La mossa di Mps su Mediobanca può dunque essere interpretata come una reazione all’operazione di Donnet", osserva Pons.
Le mosse di Orcel e il crocevia Banco Bpm
Nel risiko bancario, non poteva mancare Andrea Orcel, il ceo di Unicredit, che ha risvegliato la banca con operazioni audaci su Commerzbank e Banco Bpm. L’acquisizione di quest’ultimo, considerato uno snodo cruciale per i prestiti alle imprese del Nord Italia, è stata un’operazione controversa, che ha visto il governo intervenire per bloccare i francesi di Crédit Agricole e favorire una soluzione nazionale.
Un futuro incerto, ma decisivo
Tre offerte pubbliche, una fusione transfrontaliera e una governance da ridefinire: il panorama della finanza italiana è in tumulto. "Bisognerà aspettare almeno sei mesi per conoscere quale sarà il nuovo assetto", conclude Pons. Tra ambizioni imprenditoriali e mire politiche, una nuova mappa del potere si sta delineando. Le pedine sono schierate, ma l’esito finale dipenderà dalla capacità dei protagonisti di convincere mercati, regolatori e azionisti.
Il risiko della finanza è entrato nel vivo. Resta solo da vedere chi uscirà vincitore da questo intricato intreccio di strategie e poteri.