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Morti sul lavoro o schiavitù dell'algoritmo?
Una modesta proposta contro tragedie
come quella del rider ucciso da un Suv

  • di Michele Anzaldi Michele Anzaldi

5 ottobre 2022

Morti sul lavoro o schiavitù dell'algoritmo? Una modesta proposta contro tragedie come quella del rider ucciso da un Suv
Oggi è in programma lo sciopero in piazza Sant'Ambrogio a Firenze dopo la morte del giovane rider Sebastian Galassi, investito da un suv, al grido di “non resteremo in silenzio, la strage va fermata”. Ma siamo sicuri che casi come questo siano ancora e soltanto “morti sul lavoro” e non, invece, frutto della “schiavitù dell’algoritmo” che governa questi mestieri? E siccome ci eravamo chiesti “dov’è finito il Pd” che si era proposto come difensore della categoria, Michele Anzaldi - giornalista, politico e segretario della Commissione parlamentare di Vigilanza Rai – avanza su MOW una proposta: perché non inserire nell’algoritmo anche lo “stile di guida” così da sapere quali piattaforme applicano schiavismo e quali no?

di Michele Anzaldi Michele Anzaldi

Muore un ragazzo di 26 anni a Firenze, è un rider. Un ragazzo modello, Sebastian Galassi di 26 anni, che si manteneva gli studi facendo le consegne, per non pesare sulla famiglia. Una persona specchiata, solare, sportiva, tutte qualità che accrescono la rabbia degli amici, dei conoscenti e di tutti gli italiani per un drammatico evento così precoce e ingiusto. Come sempre adesso si cerca il colpevole, ma su questo saranno le indagini a capire se vi siano stati errori e da parte di chi. Più la rabbia cresce, però, più si cerca di dare la colpa a una categoria. Nell’ordine abbiamo, quindi, prima di tutto la politica, ampiamente criticata anche su questo giornale. Poi i gestori delle piattaforme, ricchi investitori quasi tutti residenti in altre nazionalità. Poi le aziende che si appoggiano a quelle stesse piattaforme per effettuare le consegne. E così via. Ciò di cui si parla sui giornali, in merito a questo triste episodio, è “incidente sul lavoro”, “ennesima morte sul lavoro”, ed è certamente un incidente avvenuto durante l’attività lavorativa. Gli incidenti sul lavoro, però, purtroppo ci sono da sempre e ahimé troppo di rado finiscono in prima pagina. In questo caso, però, c’è qualcosa di più: siamo sicuri che si sia trattato di un incidente sul lavoro e che non sia, invece, un vero e proprio caso di sfruttamento sul lavoro? E se lo schiavista del nostro tempo si chiamasse “algoritmo”?

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Il giovane rider e studente Sebastian Galassi

Algoritmo in maniera sintetica si potrebbe definire una successione di istruzioni per risolvere un problema, per ottenere un preciso risultato a partire da un certo numero di dati iniziali, “nel tempo e nel modo deciso dalla formula”. Qualunque variante non è contemplata e provoca una perdita di punteggio sul risultato finale. Se questo procedimento sistematico di calcolo, si applica alla complessità della vita ed al mondo faticoso e complesso del lavoro il rischio è di tornare indietro nel campo dei diritti fondamentali di parecchi secoli. Nel lavoro dei rider le varianti sono la vista stessa. Per capirci meglio: traffico, caldo, freddo, pioggia, stanchezza, malessere e tanto altro. In pratica la scienza informatica ha fornito un perfetto Schiavista 4.0 alle multinazionali. Qui forse è vero, la politica sarebbe dovuta intervenire prima e più rapidamente, ma come in tutti questi processi altamente tecnologici e internazionali parliamo di realtà che non hanno nemmeno sede in Italia. Quindi la lentezza della politica italiana e del diritto italiano si scontrano con le varie legislazioni dei diversi paesi coinvolti e una questione complicata rischia di diventare praticamente irrisolvibile.

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Rider al lavoro per le strade delle città

Eppure forse potremmo fermarci un attimo e chiedere aiuto proprio agli inventori dell’Algoritmo, cioè alla scienza e alla comunicazione che ci hanno fatto conoscere questo servizio. Sicuramente la scienza può risolvere questa situazione, come ha dimostrato più volte in tanti altri contesti, si pensi alle macchine di Formula 1 dove ogni anno si cambiano le regole per spingere i produttori a sperimentare nuove soluzioni, o alla pandemia di Covid, per la quale la scienza in poco meno di un anno è riuscita a inventare un vaccino e a salvare l’umanità. Sicuramente i tecnici saprebbero anche in questo caso trovare una soluzione. O forse c’è già e semplicemente basterebbe chiedere. Da lettore di giornali che si è commosso per la morte di Sebastian Galassi, morto in un incidente a Firenze, mi verrebbe da dire: ma queste super applicazioni che guidano i rider nelle nostre città sino alle nostre case non potrebbero essere modificate? Aspettando una soluzione più moderna che rispetti i diritti fondamentali dell’essere umano, non si potrebbe intanto applicare il sistema che già molte assicurazioni propongono ai guidatori in cambio di uno sconto? Ossia un sistema che ti segue sempre, che riesce a far sapere all’assicuratore il comportamento di guida della vettura assicurata. Lo stile di guida, se si passa con il rosso, che media di velocità si tiene, se si rispettano i limiti di velocità, se si va contromano e tanto altro. Penso che già la raccolta di questi semplici dati consentirebbe di capire se vi è dello schiavismo, chi lo applica, chi lo fa, e penso porterebbe ad una soluzione del problema, con l’attenzione dovuta al lavoro dell’essere umano ed al rispetto dei diritti fondamentali. Una semplice o geniale formula matematica non può essere applicata sulla vita delle persone senza il correttivo imposto dalla civiltà delle Costituzioni dei Paesi democratici. Tutto questo potrebbe essere fatto senza aspettare i tempi lunghi, troppo lunghi quando si parla di diritti fondamentali, della politica italiana, europea e addirittura internazionale.

Grazie alla comunicazione e alla trasparenza tutti potrebbero conoscere nel dettaglio le reali condizioni di lavoro dei rider e questo avrebbe inevitabili conseguenze sui colossi delle consegne.
Sono sicuro che se fosse applicabile una soluzione di questo tipo aziende attente alla comunicazione, all’immagine e anche al rispetto dei diritti fondamentali come la McDonald’s (principale cliente delle società dì delivery) sceglierebbero autonomamente le piattaforme che garantiscano il rispetto di condizioni di lavoro umane.

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