Quando il termine “donna” è diventato ambiguo? Negli ultimi tempi. A confermarlo è la decisione della Corte Suprema del Canada che, in un caso recente di violenza sessuale ha preferito evitare l’uso di questo termine, considerato “problematico”. A dirlo è stata la giudice Sheilah Martin, secondo cui usare la parola “donna” in tribunale sarebbe stata una scelta “sfortunata” che avrebbe potuto generare “confusione”. Allora come definire la vittima di violenza? Sembra che sia più adatto, come ha fatto Martin successivamente nel testo, parlare di “persona con una vagina”. Cioè una donna. Ecco la storia.
Il processo è R. v. Kruk, un caso di violenza sessuale del 26 maggio 2017. Alla sbarra degli accusati Christopher James Kruk, un trentaquattrenne di Maple Ridge (British Columbia, Canada). Il fatto sarebbe successo a Gastwon, nel centro storico di Vancouver. Kruk avrebbe portato a casa sua la ragazza ubriaca e avrebbe chiamato i genitori. Fin qui le storie di accusato e vittima sono le stesse. Ma è quando lei si sveglia che le versioni cambiano. Lei sostiene di essersi ritrovata senza pantaloni e di aver visto Kruk penetrarla. Lui nega, sostenendo che lei si sarebbe tolta i pantaloni dopo essersi versata addosso dell’acqua e che lui non avrebbe mai tentato un rapporto sessuale con lei, semplicemente si era avvicinato per svegliarla e lei, di soprassalto, si sarebbe solo spaventata.
Un giudice della British Columbia aveva giudicato inverosimile la ricostruzione di Kruk ma la Corte d’Appello aveva ribaltato al condanna e chiesto un nuovo processo. Per questo si è arrivati alla Corte Suprema. E in questa occasione, in un processo parallelo tra questo caso e quello di un altro accusato, Edwin Tsang, la giudice Martin avrebbe confermato la condanna per i due accusati di due differenti violenze sessuali rigettata in Appello per lo scetticismo sull’attendibilità del racconto delle vittime. E per la prima volta nella storia canadese, la sentenza per R. v Kruk presenta lo slittamento da il termine “donna” al termine “persona con una vagina”. La scelta della giudice fa riferimento alla terminologia usata dal giudice di grado inferiore della British Columbia che definì attendibile quando riportato dall’accusatrice, dal momento che la vittima avrebbe detto “che sentiva il suo pene dentro di sé e sapeva cosa stava provando. In breve, il suo senso tattile era impegnato. È estremamente improbabile che una donna si sbagli riguardo a questo sentimento”.
Martin concorda nella sostanza con l’opinione del giudice del primo processo, ma preferisce evitare di usare il termine “donna” per la vittima e preferisce scrivere: “È estremamente improbabile che una persona con una vagina si sbagli su quella sensazione”. Martin non ha giustificato la scelta e resta poco chiara dal momento che la vittima si identifica come donna e non c’era possibilità di confusione durante il processo, non essendoci persone transgender coinvolte. Quello che si è voluto evitare è una “generalizzazione” su cosa tutte le donne dovrebbero riconoscere al momento di una penetrazione. Meglio dire: “tutte le persone con una vagina”. In effetti tale decisione ha permesso alla giudice Martin di respingere la sentenza della Corte d’Appello, che aveva dubitato proprio della generalizzazione a tutte le donne. Scrive: “Sebbene la scelta del giudice del processo di utilizzare le parole ‘una donna’ possa essere stata infelice e aver generato confusione […] la conclusione del giudice era fondata sulla sua valutazione della testimonianza del denunciante. […] Concludo che è una ragionevole aspettativa generalizzata che è improbabile che una donna si sbagli ”.
Melissa Lantsman, la prima donna dichiaratamente lesbica ed ebrea a essere stata eletta come deputata del Partito Conservatore in Canada, è intervenuta sulla questione criticando la scelta di usare “persona con una vagina” dal momento che il termine donna sarebbe stato oggettivamente non ambiguo e non problematico e avrebbe pubblicato la definizione dell’Oxford English Dictionary per dimostrarlo: “Un essere umano femminile adulto. La controparte dell’uomo”. Ha anche aggiunto: “No, non c'è nulla di confuso nella parola ‘donna’, è buon senso. Non è in alcun modo odioso, bigotto, sbagliato o ingiusto. Questa è semplicemente una totale assurdità che non fa avanzare nulla. Non è progresso”. C’è inoltre chi ha sostenuto che ridurre la donna a un organo fisico sia una sconfitta per chi ha portato avanti negli anni le battaglie per i diritti delle donne. Secondo la giornalista del National Post Jamie Sarkonak, “per gli ideologi di genere, questo è un ‘linguaggio inclusivo’. Lo stesso vale per ‘genitore che allatta’ (un termine usato da Alberta Health Services e altri), o “mestruatori” (usato da Women and Gender Equality Canada). Questo perché, per loro, la virilità e la femminilità sono le due estremità di uno spettro di genere lungo il quale ogni persona può identificarsi in qualsiasi momento, indipendentemente dal proprio corpo fisico. Non è giusto legare il genere alla biologia, si pensa, poiché si finirebbe per escludere parte dello 0,3% dei canadesi che si identificano come transgender. E la Corte Suprema se la beve”.