Il conto alla rovescia è iniziato, o meglio era iniziato già mentre la maggior parte di noi era ancora in spiaggia, ignara di quanto sarebbe potuto accadere di lì a qualche settimana. Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti si sono attivati per capire come completare la prossima legge di Bilancio accontentando tutti. E in quel “tutti” rientrano, ovviamente, gli elettori, i tecnici e gli alti decisori di Bruxelles. I primi, infatti, avevano puntato il loro voto sul governo di centrodestra ammaliati dalle promesse dei suoi leader: “Abbassare le tasse, tagliarle agli autonomi, superare i vincoli della legge Fornero” (cit. Matteo Salvini, per esempio). I secondi, i tecnici, sono invece chiamati al compito più ostico di tutti: fare i conti con la realtà, assicurarsi che i conti tornino e che il castello della politica non collassi sotto i colpi di debiti eccessivi, spread o altri magheggi finanziari. Poi ci sono, appunto, i “decisori di Bruxelles”: una categoria che racchiude i tecnici al quadrato marchiati Unione europea. Quelli, per intenderci, che passano in rassegna cifre, numeri e valori di ogni Paese membro, pronti a punire gli spendaccioni irresponsabili.
E l’Italia da che parte sta? In un limbo non ancora definito. Sarà compito del Mef, il ministero dell’Economia e delle Finanze, far quadrare i conti in un autunno che è già partito caldissimo (e non c’entra, per una volta, il cambiamento climatico). Già, perché Giorgetti – più realista del re – pochi giorni fa aveva dichiarato a Bloomberg che la prossima manovra avrebbe richiesto “sacrifici” per le imprese più grandi. Di colpo, la Borsa di Milano ha perso terreno costringendo il Mef a chiarire che no, non era e non è allo studio una nuova tassazione sugli individui, e che saranno richiesti, semmai, “sforzi per le imprese di alcuni settori”. Intanto, però, la coperta è corta. Sì, perché la manovra si aggirerà intorno ai 25 miliardi di euro, ma le risorse sono limitate e vincolate dal piano di rientro del deficit. Pare che Giorgetti in persona abbia lasciato intendere che, se non arriveranno i tagli alla spesa da parte dei singoli ministri, dovrà farlo lui stesso... Come se non bastasse è scoppiato un pandemonio in merito alle accise sul diesel: i giornali hanno parlato della volontà del governo di alzarle, mentre il Mef ha chiarito che “sulla base degli impegni Pnrr, delle Raccomandazioni specifiche della Commissione europea e del Piano per la transizione ecologica approvato nel marzo 2022, il governo è tenuto ad adottare misure volte a ridurre i sussidi ambientali dannosi (Sad)”. Si parla, insomma, di un allineamento tra le accise di diesel e benzina. Un modo elegante per dire: non dipende da noi. E per dire: “L’intervento non si tradurrà nella scelta semplicistica dell’innalzamento delle accise sul gasolio al livello di quelle della benzina, bensì in una rimodulazione delle due”.
Ok, ma quindi il governo dove troverà i soldi che servono per partorire una legge di Bilancio che abbia senso? È scoppiato un secondo pandemonio quando qualcuno ha ipotizzato che l’esecutivo Meloni potrebbe inasprire le tasse per qualcuno. Giorgetti, ancora lui, ha aveva parlato di un “contributo” fiscale da parte di banche e imprese. Parole di fuoco, per alcuni mal interpretate, che hanno però provocato un terremoto sui mercati, con un repentino calo delle Borse in Francia e in Italia. Ma perché abbiamo iniziato a parlare di tasse e tagli? Semplice: l’Italia non può indebitarsi ulteriormente. A giugno, Roma – con gli altri Paesi membri dell'Unione europea - ha firmato un Patto di Stabilità che prevede un rientro del debito graduale (ma progressivo) nei prossimi sette anni. “La pacchia è finita”, direbbe qualcuno del governo. Altri, invece, fanno notare le spade di Damocle che pendono su Palazzo Chigi: i 120 miliardi di euro di debiti del Pnrr da restituire all’Europa e i 200 miliardi incarnati dai costi del Superbonus edilizio. Totale: 320 miliardi di problemi che peseranno almeno per un decennio sulle finanze italiane. È forse per alleggerire l’incombenza pubblica che Meloni ha incontrato l’amministratore delegato del fondo d’investimento statunitense Blackrock, Larry Fink. Dallo sviluppo dei data center alle infrastrutture energetiche di supporto: l’esecutivo ha aperto il catalogo per mostrare ai ricchissimi ospiti cosa poter offrire. In cambio, a da sé, di denaro sonante.