Le ultime manovre di Forza Italia non dovrebbero passare in secondo piano. “Che i figli di Berlusconi stiano conducendo una loro strategia per rafforzare il partito paterno e indebolire la leader di Fratelli d’Italia è più che evidente, smentite o non smentite”, ci ha spiegato il politologo Marco Tarchi. Attenzione, poi, a quello che sta accadendo nel Movimento 5 Stelle. Mentre sull'egemonia culturale della destra e il gap con la sinistra si apre una lunga discussione...
Come valuta il governo Meloni, alla luce anche delle recenti vicende che hanno colpito vari membri del suo esecutivo?
Gli assegnerei un voto medio, tenuto conto della situazione economica che ha di fronte. Malgrado le brutte figure individuali e, soprattutto, il ruolo sempre più insidioso di Forza Italia, la compagine regge e i dati di Pil e occupazione – che oggi contano molto agli occhi dei poteri che realmente pesano – sono incoraggianti. Il che spiega perché Confindustria stia facendo gli occhi dolci. Anche l’aver scaricato su altri paesi (perché questa è la realtà) una consistente parte degli sbarchi di immigrati fornisce un’immagine positiva di Meloni e dei suoi di fronte al suo elettorato. Che, per il momento, è ciò che conta.
Il caso Sangiuliano dimostra, a suo avviso, incompetenza generale nel gestire un ruolo così delicato oppure si può davvero ipotizzare un tentativo di tagliare le gambe all'esecutivo (il classico "complotto")?
Un vero complotto avrebbe trovato una Mata Hari più attenta alla sua immagine della signora Maria Rosaria Boccia. Non c’è dubbio sull’inadeguatezza di Sangiuliano al ruolo che rivestiva: quando ci si trova in una posizione come la sua, le passioni carnali, per comprensibili che siano, vanno tenute a freno e, comunque, tenute a distanza dall’ambito professionale. In qualche settore l’ex ministro aveva messo in atto iniziative utili – vedi il rilancio delle presenze al cinema grazie alle agevolazioni –, ma per il resto mi sembra che avesse fatto poco più che sottogoverno di segno analogo a quello degli esecutivi precedenti, anche se di colore diverso.
Politici e titoli di studio: qual è la sua posizione? Nei giorni scorsi più voci hanno sottolineato il fatto che il nuovo ministro della Cultura non possedesse alcun titolo di laurea. Serve davvero per governare oppure è solo un plus ultra?
Ad un ministro, anche della cultura, va chiesto di essere un capace animatore di iniziative, un tessitore di rapporti interpersonali, un decisore oppure un mediatore quando è necessario rivestire il primo di questi abiti oppure il secondo. Il titolo di studio è secondario e in ogni caso non qualifica le capacità di un soggetto chiamato a queste responsabilità. Un buon quoziente intellettivo e una solidità di carattere, unite a un buon controllo della psiche, sono invece molto opportuni.
A che punto è quella che è stata definita "egemonia culturale" della destra in Italia? È riuscita, in qualche modo, a ridurre il gap con la sinistra?
Partiamo da una premessa: è impresa ardua cercare di scalfire l’egemonia di una visione del mondo come quella progressista, che decennio dopo decennio ha esteso la sua presa quasi ovunque: nelle scuole e nelle università grazie agli insegnanti, nei mezzi d’informazione, nell’editoria, nel cinema, nel teatro, negli ambienti musicali e in quelli delle arti figurative, nell’associazionismo e nelle reti di volontariato, incluse quelle religiose, nelle parrocchie… e potremmo continuare. Di fronte a questa situazione, che pervade l’atmosfera psicologica in cui siamo immersi, occorrerebbero o occorreranno tempi lunghissimi e, soprattutto, personale all’altezza anche solo per dare esca ad una controffensiva. Si può anche partire, come è stato fatto, dal nominare persone più o meno fidate alla testa di istituzioni culturali importanti, ma se non si forma in tempi decenti un ceto di validi loro collaboratori, il risultato sarà scarso. Anche perché la controparte non se ne sta con le mani in mano, e per chi è sospettato di avere idee sgradite al pensiero dominante le porte restano sbarrate. Quindi c’è bisogno di un lavoro di base: istituti di formazione, laboratori, borse di studio, aiuto a giovani talenti ingiustamente discriminati. Per scalare una montagna non basta comprarsi l’attrezzatura.
Pare che il M5S sia scosso da un terremoto interno. Come vede il testa a testa Grillo-Conte? Potrà nascere una nuova entità politica da questo scontro?
Mi stupisce che questa resa dei conti sia giunta così tardi. Il M5s si è distaccato ormai da molti anni dalle idee e dai comportamenti che lo avevano portato a raccogliere le preferenze di un terzo degli italiani, e Grillo ha lasciato che l’imbarcazione andasse alla deriva facendosi i fatti suoi. Non solo: in alcuni momenti è parso sponsorizzare la deriva che oggi deplora. Nella situazione attuale, si è creata una casta di semiprofessionisti della politica che intende soprattutto continuare a rimanere nei ruoli e posti raggiunti, e che si trova di fronte una base sempre più dispersa, smarrita e delusa. Se ci fosse in campo Di Battista, la componente più spontanea e fedele ai principi ispiratori del movimento potrebbe raccogliersi attorno a un nuovo progetto e creare a Conte e seguaci molte difficoltà, ma in mancanza di un soggetto autorevole e federatore la via di sbocco più probabile è un progressivo sgretolamento della base del consenso del partito contiano.
Il centrodestra è invece attraversato da vari movimenti. Si fa un gran parlare dell'incontro tra Draghi e Marina Berlusconi. Sta nascendo, dietro le quinte, una Forza Italia 2.0? Magari anche in grado di arruolare Renzi e altri personaggi in cerca di autore?
Renzi non credo abbia alcuna voglia di essere arruolato: o comanda lui o niente, e chi lo accoglie sa che è una mina sempre pronta a esplodere. Ma che i figli di Berlusconi stiano conducendo una loro strategia per rafforzare il partito paterno e indebolire la leader di Fratelli d’Italia è più che evidente, smentite o non smentite. È un gioco pericoloso, che può produrre notevoli risultati ma anche risolversi in un boomerang: molto dipenderà dalla capacità e volontà di Meloni di piegarsi all’ipotesi di quei compromessi che da sempre dice di aborrire. Sta di fatto che Forza Italia appare sempre meno un partito liberal-conservatore (cosa che forse non è mai stata) e sempre più una sorta di mini-Dc, un partito centrista che ha dentro di sé cospicue tendenze progressiste – che in passato Carfagna, Gelmini e altri esponenti hanno reso esplicite. In questo senso, è una serpe in seno ad un esecutivo che afferma di voler combattere (anche) una battaglia idee contro chi, come Marina e Pier Silvio Berlusconi, sull’immigrazione o sulle pretese della lobby Lgbtq+, dimostra di trovarsi a suo agio con la sinistra.