Stia allegro, Alessandro Giuli: il programma da neoministro della cultura non c’è neanche bisogno di scriverlo, è già bell’e pronto. Gliel’ha steso con ottima e mirabile sintesi un altro fratello d’Italia, uno che di egemonia culturale se ne intende. Magari, ecco, un filino meno gramsciana di quanto vorrebbe il Giuli rispolveratore del compagno Gramsci (operazione, lo diciamo di passata, già fatta più di 40 anni fa dalla Nuova Destra di De Benoist e Tarchi: “Gramscismo di destra”, appunto). L’ideologo in pectore dell’attuale destra, nuova, nuovissima, praticamente vecchiotta, risponde al nome di Federico Mollicone. 53 anni, presidente della commissione cultura della Camera, nonostante sia autore, come si legge sul suo sito, di Cinque libri con Palombi (digitando su quello della casa editrice, ne vengano fuori tre, di cui uno è una curatela), non si trovano altri suoi originali contributi al pensiero dell’odierna Italia, proletaria e melonista.
Scorrendo il curriculum, potremmo catalogarlo nel ramo comunicazione ed eventi. E in questo ambito, quantitativamente, nulla da eccepire. Da romano con base alla sezione Colle Oppio, dopo una giovinezza primavera di bellezza nel Fronte della Gioventù, di cose ne ha fatte, nella Capitale: dalle riqualificazioni alle mostre, dal trofeo natatorio Natale di Roma al Carnevale romano. Le passate cronache di lui ricordano due cose, soprattutto: aver ideato il simbolo di Atreju, la manifestazione giovanile di Alleanza Nazionale (in pratica, il bambino con spadone del film fantasy La storia infinita) e il ruolo di responsabile comunicazione, eccolo, del partito guidato da Giorgia Meloni. Con cui Mollicone ha un rapporto diretto sin dai tempi in cui curava, rieccolo, quella della prima ministra, quando ella era solo ministra nel Berlusconi IV. Mollicone, vicino a Fabio Rampelli, corrente Gabbiani (animali poetici, ma provate a lasciare incustodita la vostra roba in spiaggia), è uno per il quale comunicare è come la mollica del pane: non si finirebbe mai di spizzicarla. Comunica, comunica instancabilmente, il noto provocatore. La sua specialità sono le interviste. Qui ci pregiamo di analizzare non quella, famigerata, rilasciata il 4 agosto a La Stampa sulla strage di Bologna, ma un’altra, passata ingiustamente inosservata, pubblicata dal Fatto Quotidiano il 22 luglio a firma di quel malandrino di Antonello Caporale. Mollicone in essa offre, grazie al giochino “cosa è di destra, cosa è di sinistra”, il bignami tascabile della Kultur governativa. Le frasi introduttive sono molliconesche. I commenti, nostri. Caro Giuli, prendi appunti.
La barba
“Giove, il padre degli Dei, è sempre stato rappresentato con la barba, il nonno di Heidi pure”. Così parlò il barbasofico Mollicone. Mussolini, Almirante, Berlusconi: niente barba. Al massimo, i baffi. E che dire del Presidente del consiglio in carica (mi raccomando, con l’articolo determinativo al maschile)? Meloni barbuta, sempre piaciuta. Sicuramente ai fan di Conchita Wurst (esempio, per altro, di barba curatissima, come piace a Mollicone).
La barca
“È simbolo di libertà, ci ricorda il coraggio temerario dei nostri esploratori Colombo, Vespucci e Caboto - e non certo la barca radical-chic Capalbio Style”. A noi ricorda anche le lussuose barche di un’antropologia “da sogno”, tendenza Flavio Briatore, a sua volta tendenza Daniela Santanchè. Ma Mollicone nulla c’azzecca con il briatorismo, mistica per apprendisti del successo. O forse sì, che un pochino c’entra, data la natura privatizzatrice e snazionalizzatrice (rete Tim al fondo americano Kkr) di questa destra per la quale vale l’eterno motto da vespasiano “pecunia non olet”?
Bonus
“Ai superbonus che creano il superbuco per scambi elettorali preferiamo da sempre il sostegno diretto e concreto alle famiglie fragili e in difficoltà”. Ma intanto, un bel taglio di due terzi al reddito di cittadinanza, di fatto abolito, non ce lo vogliamo mettere? Poveri e impoveriti sentitamente ringraziano. Specie se single, i più bastonati. Anzi, no, non single: usiamo l’italiano lingua di Dante (che era di destra, no, cit. la buonanima di Sangiuliano?). Perciò diciamo meglio: specie se soli. Come i cani.
Cucina
“La destra è glocale e l’identità si esprime anche a tavola: dalle osterie ‘di fuori porta’ alle 3 stelle di Cannavacciuolo”. Ma sì, è tutto uguale: chef, Masterchef, stellati, bar di paese, trattorie, pizzerie, ristoranti a minimo 100 euro a cranio. È il glocale, bellezza: un modo per giustificare tutto e il contrario di tutto, ma parlando forbito. Tanto, per lorsignori c’è il rimborso spese.
Filosofia
“Tra Aristotele e Platone siamo sempre stati ‘in squadra’ con il secondo. Gentile sintetizzò le due visioni. L’uomo e lo Stato devono seguire delle regole morali attraverso la Legge. Il resto è anarchia”. Non abbiamo le competenze filosofiche per giudicare affermazioni così dense di storia e significato. Però temiamo che né il severo Platone, che vagheggiava il governo dei filosofi, né Gentile teorico dello “Stato etico” avrebbero granché approvato il ministro della cultura Giuseppe Valditara sulla “centralità del rapporto fra scuola e impresa” (con contentino di contorno su patriottismo ed educazione civica). Quanto alla Legge con la maiuscola, a giudicare dalle faccenduole giudiziarie in cui sono impelagati fior di ministri e sottosegretari, forse è meglio usare la minuscola.
Libertà
“’La libertà non esiste senza uguaglianza, ma non esiste libertà e uguaglianza senza una profonda coscienza dei doveri. Al contrario di qualcun altro, noi non abbiamo dimenticato le lezioni di Mazzini”. Rapidamente: il binomio libertà-uguaglianza è l’asse portante della concezione liberale architrave della modernità, intesa come liberazione a tappe dell’individuo da ogni vincolo. Talmente liberatoria, che oggigiorno ci sta svincolando dal contatto stesso con la realtà, a causa del virtuale che egemonizza le nostre vite. Un sano recupero dei doveri, perciò, suonerebbe bene. Bisogna vedere quali, però. Il sospetto è che il prevedibile elenco che sciorinerebbe un Mollicone (verso la patria, verso i “più deboli” a patto siano italiani, verso la legge di cui sopra, a condizione non venga fatta rispettare da sentenze sgradite) rischierebbe di sorvolare su certi obblighi poco patriottici, che rendono il suo mazzinianesimo di terza mano. Mazzini mai avrebbe permesso il servilismo in ginocchio agli Stati Uniti, che ci dominano in casa nostra apposite basi e ai quali forniamo, a mezzo Nato, il 2% del Pil. Mazzini era un patriota. Anche i fratellini d’Italia. A parole.
Meritocrazia
“Il merito, prima di tutto e sempre. Niente amichettismo sinistro”. Invece le nomine di destra fatte da questo governo di destra non sono amichettismo, no, assolutamente: è meritocrazia. Poi dice che uno si butta sull’astensione militante. ‘A Mollico’, un minimo di ritegno, e su.
Pizza
“La pizza è chiaramente di destra. Del resto, la margherita fu un omaggio alla Regina ed era già tricolore: basilico, mozzarella e pomodoro. W l’Italia”. Da quando la pastasciutta viene simbolicamente requisita ogni 25 luglio dai nostalgici dell’antifascismo, può starci pure la pizza di destra. Ma è come per la cultura: ha senso etichettare un patrimonio di uso comune sotto uno dei due termini della diade Destra-Sinistra, che ha ormai l’esclusiva funzione di semplificare, ovvero fuorviare, invece di spiegare le situazioni concrete nella loro concretezza? Tu chiamala, se vuoi e anche se non vuoi, faziosità.
Patria
“La terra dei padri, i racconti intorno al fuoco, i concetti del fondamento, la difesa dei confini e dei costumi degli avi. Facile no?”. Come no. Mentre ci si aduna intorno al fuoco, facendosi scappare qualche salutino romano, l’Italia sottostà aere perennius ai vincoli esterni Bce-Nato-Israele, la trimurti degli Intoccabili. Ma continuino pure, gli pseudo-tradizionalisti con scappellamento a destra, a scaldarsi nei riti notturni e a venerare il culto degli antenati, mentre Washington, Bruxelles e Tel Aviv ci comandano a bacchetta. Cavalcare la tigre, certo. Di carta.
Cultura
“È la parola magica, non egemonia (gramsciana, ma anche Gramsci scriveva di ‘cultura nazionale’). ‘Coltivarsi’ dentro e fuori per preservare e trasmettere il nostro patrimonio identitario e letterario”. Giuli teorizza, vanamente, un’egemonia di destra in buona sostanza realizzata cooptando chi è di valore, ma che di destra non è. Forse perché ha capito che la destra che è al potere in Italia non ha poi tutta questa numerosa schiera di valorosi. Non, almeno, quella istituzionale e filogovernativa, a differenza dei mondi più underground. E perfino tra i nomi più in vista, come un Marcello Veneziani, si preferisce rimanere in disparte. Vorrà pur dire qualcosa.
Tasse
“Meno tasse per tutti, ma tutti devono pagarle. Non diremo mai che ‘le tasse sono bellissime’”. No, difatti la Meloni le ha definite “pizzo di Stato”. In ogni caso, guai a farle pagare alle banche in proporzione agli indecenti profitti accumulati, per esempio. Una volta, negli ambienti di destra-destra bollavano le banche come “usuraie”. Oggi non le sfiorano nemmeno con il mignolo. Il denaro regna. Altro che patriottismo e senso dello Stato. Tutte balle, luride balle.
Borghi
“I borghi sono il sistema nervoso della nostra identità italiana. Mille campanili, mille rievocazioni storiche, mille tradizioni. Dallo strapaese di Maccari alla destra divina di Pasolini e Langone”. La sagra del folclore. Con la rivoluzione antropologica di Internet e la forma mentis del consumismo penetrata nell’inconscio, blaterare di “strapaese” e terragnità, oggi, significa smerciare moneta falsa, e per giunta irrispettosa di intellettuali geniali quali furono Mino Maccari e Pier Paolo Pasolini. Il primo, se è lecito fare un’ipotesi, ai nostri giorni sarebbe stato un ecologista estremista, sia pur con l’ironia che difetta ai fanatici anti-climate change. Il secondo sarebbe risolutamente e ferocemente all’opposizione di questa patacca di destra liofilizzata, che non dice e non fa nulla contro il Mercato, tranne quando si tratta di utero in affitto. Camillo Langone, beh, in fatto di vini è sicuramente divino. Ma Dio è morto, e quindi…
Sesso
“Sano, sicuro e spiegato bene ai ragazzi e alle ragazze. Esclusi bacchettoni. Ma attenti che diventate ciechi”. Spiegato bene, dice Mollicone. Come, dove? A scuola non si può, perché a destra imperversa il bau bau della “teoria gender” (un insieme di autori, anzi soprattutto autrici, funzionali al capitalismo terminale, il che per coerenza implicherebbe essere anche anticapitalisti, sennò è bacchettonismo, giusto?). La battuta sui ciechi gliela passiamo per umana compassione. L’umorismo pirandelliano non è esattamente il suo forte.
Destra
“Siamo il buon senso, ‘le merende dei ragazzini fuori scuola… il bacetto della sera, il balcone con i gerani, il suono di una caffettiera… la piazza che protesta e la gente che fa festa…’ (Orchestraccia docet)”. Siamo commossi. E, ciò nonostante, continuiamo a tifare la decency di George Orwell, quel “decoro”, quella dignità semplice e senza vanto che non scade in mediocrità piccoloborghese nel momento in cui, se calpestata, diventa motivo per imbracciare le armi della lotta (politica, o giornalistica). Lotta dura e senza paura, per la precisione, ai tartufi ipocriti che spacciano per “buonsenso” l’acquiescenza alle ingiustizie sociali.
Sinistra
“Sarebbe facile liquidarla con Flaiano… ‘non sono comunista perché non me lo posso permettere’… ma è meglio Gaber ‘il vecchio moralismo è di sinistra’ ma sulla Nutella sbagliava. È di destra”. I comunisti non ci sono più (neanche in Cina). Il moralismo è trasversale (sebbene la puzzetta nasometrica, in effetti, promani più dal politicamente corretto dei trinariciuti a sinistra). La Nutella è un prodotto industriale, un’arma di dipendenza dalla droga-zucchero che il vero Intellettuale Collettivo, la Pubblicità, ha reso orgoglio italiano e simbolo di calore domestico e che tuttavia, come tutti i prodotti industriali, fa male e non andrebbe consumata proprio. Ergo: boicottare subito la Nutella, i moralisti di sinistra, gli immoralisti un tanto al chilo di destra, e pure i Mollicone, soprattutto se citano ad mentula canis Flaiano e Gaber. I quali, poveracci, si staranno rigirando come dinamo nella tomba. Basterebbe e avanzerebbe l’immortale Carmelo Bene: “Se non possiamo cambiare patria, cambiamo argomento”.