“La pace esiste solo se arriva la verità”. Pietro Orlandi lo ripete da quasi quarantadue anni. E adesso, con l’elezione di Leone XIV, spera che qualcosa possa finalmente cambiare. Le prime parole del neoeletto pontefice – Pace, Giustizia, Verità – lo hanno colpito come uno schiaffo gentile: “Mi sento con una nuova speranza”, ha detto. Ma l’eco è la stessa da decenni: Emanuela, quindici anni, cittadina vaticana, sparita nel nulla il 22 giugno 1983. E intorno, solo il silenzio. Nel suo discorso ai rappresentanti internazionali, Leone XIV ha parlato di un abbraccio universale, di ponti tra i popoli, di “ogni singola persona desiderosa e bisognosa di verità, di giustizia e di pace”. Parole che Pietro ha afferrato come una finestra aperta dopo troppo buio. “Non chiedo al Papa di dirci la verità – ammette – magari non la conosce. Ma può aiutarci a trovarla. Voglio incontrarlo. Anche solo in privato. Sembra una persona aperta, ha detto che la Chiesa accoglie chi soffre. E allora ascolti chi ha sofferto troppo a lungo”.


L’ombra dei predecessori pesa. Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco. L’ultimo, scomparso da poco, Pietro lo dice senza rancore, ma con la stanchezza di chi ha consumato la voce: “Speravo che, prima di morire, lasciasse almeno una lettera. Non l’ha fatto. Quello che sapeva se lo è portato nella tomba. Come tutti gli altri”. Ma lui non si ferma. Mai fatto. I cortei, le interviste, le lettere. Sempre lì, accanto a sua madre, nello stesso punto, con la stessa domanda: dov’è Emanuela? “Se Leone XIV farà chiarezza – dice – la Chiesa ci guadagnerà. Anche i giovani torneranno ad ascoltarla”. Perché Emanuela, ormai, è molto più di una scomparsa. È un nervo scoperto nella storia della Chiesa. Un buco nero nella memoria di un Paese. Un nome che pesa ancora sulle coscienze di chi ha avuto il tempo di dimenticare. Ma non lo ha fatto.

