Le Forze di difesa israeliane hanno annunciato l’avvio della prima fase dell’occupazione di Gaza City, con il controllo già acquisito sulla periferia della città. Secondo fonti militari, il piano sarà illustrato oggi direttamente dal premier Benjamin Netanyahu. A reagire è Hamas, che parla di “palese disprezzo” da parte di Israele per gli sforzi di mediazione in corso. Parallelamente, il governo israeliano ha approvato in via definitiva un progetto destinato a suscitare forti polemiche internazionali: la costruzione di 3.400 unità abitative nell’area E-1, in Cisgiordania. Una decisione che, di fatto, spezza in due il territorio e compromette la possibilità di realizzare uno Stato palestinese unito. Durissimo il monito del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres: “Israele fermi il progetto per la costruzione di unità abitative nell’area E-1 in Cisgiordania, che rappresenta una minaccia esistenziale alla soluzione dei due Stati”. Secondo Guterres, l’iniziativa non solo ostacola ogni prospettiva diplomatica, ma viola apertamente il diritto internazionale e le risoluzioni delle Nazioni Unite. A rivendicare la scelta è stato il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich, che in conferenza stampa ha definito l’approvazione del piano “E1” una decisione “storica”. Ma per la comunità internazionale, quella che Israele definisce espansione urbanistica rischia di trasformarsi in un punto di rottura definitivo per il futuro della Palestina.

Ne abbiamo parlato con il già capo di stato maggiore dell’aeronautica e della difesa Vincenzo Camporini che ci ha spiegato come “siamo in una fase della guerra per cui Israele ha deciso di togliere qualsiasi limitazione all'impiego delle forze, in modo tale da conseguire l'obiettivo di eliminare Hamas. Un obiettivo che doveva essere ottenuto in tempi molto più rapidi e che invece non è stato conseguito in modo soddisfacente finora”. C’è chi dice che sia illegale questa mossa di Israele. È vero? “È un argomento che ormai sta perdendo qualsiasi concretezza. Vediamo una fase della storia globale dove le regole che una volta c'erano e venivano violate, adesso non ci sono neanche più. Quello che sta accadendo in questo teatro, come in altri, ci dice che il concetto di legalità è diventato così fragile da ridursi a un argomento di conversazione, più che a un utile strumento di politica”. E se l'esercito israeliano entra in questo modo, vuol dire che è destinato a rimanere? “Il governo israeliano ha dichiarato che l'operazione durerà almeno cinque mesi. Quindi ci sarà una presenza sul terreno continua, con un impiego di forze molto consistente e per lungo tempo. Questo è quello che il governo israeliano ha dichiarato. Ora, io ho qualche perplessità sulla piena sostenibilità di uno sforzo del genere, perché l'esercito israeliano è fatto prevalentemente di riservisti: ragazzi e ragazze che hanno fatto il servizio di leva, che vengono mantenuti addestrati, ma che poi sono tornati alla vita civile e al lavoro, contribuendo all’economia. Nel momento in cui vengono distolti per un tempo così lungo e in modo così massiccio, ci sono conseguenze anche dal punto di vista economico”.

E per quanto riguardai i Gedeone 2 “il carro armato in un ambiente urbano è un oggetto estremamente ingombrante, che non offre molta flessibilità. L’ambiente urbano si presta meglio a strumenti di grande precisione. Il carro armato, con la sua artiglieria, viene definito un'arma stocastica: ha un’elevata probabilità di colpire il bersaglio, ma non una certezza assoluta. Quindi, in un ambiente urbano, l’impiego lascia delle perplessità”. E, da esperto, ritiene appropriato dire che si tratta di un genocidio o no? “In linea di principio no. Alcune dichiarazioni, alcune azioni di una certa fascia della politica israeliana, parlo di Ben-Gurion e della sua corrente, hanno chiaramente intenzioni di pulizia etnica. Se questo sia sufficiente per definire un genocidio, io non sono un esperto per dirlo, però è certamente qualcosa da prendere in considerazione”. C’è una pulizia etnica che però Hamas vuole attuare ai danni dello Stato di Israele: “Su questo non c'è dubbio. È ovvio che le responsabilità prime non sono da dividere equamente, ma ricadono prevalentemente su Hamas. Su questo non ci sono dubbi. Ma lo strumento con cui si è cercato di estirpare Hamas ha sicuramente messo in difficoltà anche tutti gli amici di Israele”.