Alice guarda i gatti e i gatti guardano nel sole mentre il mondo sta girando senza fretta. Sa di De Gregori questo G7 pugliese, officiato da una Giorgia Meloni che si guarda intorno a tra i più o meno potenti del mondo scopre di essere l’unica senza troppi problemi in casa. Emmanuel Macron è messo così male da cercare a Borgo Egnazia la rissa sull’aborto per farsi notare, il tedesco Scholz non parliamone, il britannico Sunak (come Macron) tenta l’azzardo delle elezioni anticipate, il canadese Trudeau è dato perdente alle prossime elezioni e confessa che lascerebbe volentieri, idem o quasi per il giapponese Kishida, mentre Biden non riesce a liberarsi dello spettro di Trump e dalla fatica degli anni.
Si parla di politica, restando ovviamente fermo che poi ognuno fa più o meno ciò che vuole
Il problema vero, però, non sta nelle crisi dei leader ma nella natura del G7. Che nasce nel 1975 per iniziativa del presidente francese Valéry Giscard d’Estaing, allo scopo di coordinare la reazione delle economie più sviluppate di fronte a fenomeni economici che scuotevano il mondo, dall’austerity post-Guerra dei Sei giorni con l’aumento del prezzo del petrolio alla fine del sistema di Bretton Woods, del gold standard e l’avvio della libera fluttuazione del dollaro.
L’iniziativa aveva senso. Il G7 allora rappresentava il 60% del Pil globale e quel che si decideva lì influenzava le strategie economiche del pianeta intero. Ma i tempi cambiano. Per il Fondo monetario internazionale ora le cose vanno così: nel 2000 il G7 produceva il 43% del Pil mondiale e i Brics (Brasile, Russia, Cina, India e Sudafrica) il 18%, nel 2010, 34.2% contro 26.5%; nel 2020, 31% contro 31%; nel 2023 (stime) 29.9% per il G7 e 32.1% per i Brics. Così sempre più spesso Alice guarda i gatti e i gatti guardano nel sole, cioè si parla sempre meno di economia e sempre più di politica, restando ovviamente fermo che poi ognuno fa più o meno ciò che vuole. Per dire: se Macron vuole mettersi in affari con Xi Jinping lo fa, e ciao. Se il Giappone vuole continuare a investire nei giacimenti russi di gas Sakhalin 1 e 2, arigatò. E così via.
L'accordo sull'impiego dei fondi russi è noto da mesi
Il mondo, intanto, gira senza fretta per conto suo. Non v’è dubbio che a Borgo Egnazia la Meloni abbia portato a casa un successo di immagine e di presenza sulla scena internazionale. Ma il G7?
C’è stato l’accordo sull’impiego degli interessi dei fondi russi sanzionati a favore dell’Ucraina. Ma come si dice nel calcio, è stato un tiro telefonato, era cosa nota da mesi e potrebbe persino essere considerata una vittoria dell’Europa sugli Usa (che volevano il sequestro totale dei beni stessi) se non fosse che il 95% dei 296 miliardi “russi” è depositato in Europa. Se Putin reagisse sarebbero i beni europei a essere sequestrati in Russia. E se qualche altro Paese di discutibile impostazione politica, per esempio quelli arabi, pensasse di non voler rischiare la stessa sorte e decidesse di investire altrove, sarebbe dall’Europa che sparirebbero gli investimenti.
E poi, certo, è arrivato il Papa, per la prima volta un pontefice al G7. Grande invenzione della Meloni, questo invito, che se non altro ha ravvivato la liturgia stanca di un gruppo di leader ancor più stanchi prigionieri di una visione del mondo a sua volta stanchissima. L’unico brivido l’ha portato un religioso di 87 anni. Sipario.