Armata di quel sorriso 40% beffa, 40% sfida, 20% “lo so che ti piaccio”, Francesca Fagnani è la “belva” (ma non “iena”!) di cui il giornalismo televisivo italiano aveva bisogno. sa esattamente quando affondare i colpi. Di recente ha colpito seccamente il presidente del Senato Ignazio La Russa, senza tuttavia affondarlo (la risposta sull’ipotetico coming out di un figlio gay ha indignato solo chi crede che oggi a una domanda profondamente personale si debba solo rispondere con un vocalizzo arcobaleno in autotune). Davanti a Francesca Fagnani sarebbe quasi sciocco puntare i piedi e fare i capricciosi. Bisogna solo ammetterlo: è brava, molto brava.
Detto questo, Monica Mondo è ancora lassù, per ora placidamente inarrivabile. Torinese, colta e – in gioventù – trafitta dalla parola di don Giussani, Mondo, dopo aver scavato in tante anime (“Soul”, in onda su Tv2000, è una masterclass di giornalismo esplorativo), può dirsi la migliore interlocutrice televisiva che una persona di cultura possa sperare di incontrare sul proprio cammino. La differenza con Fagnani, in certi momenti, è lampante, non fosse altro che le due giornaliste, attraverso i rispettivi programmi, perseguono obiettivi diversi. Tuttavia entrambe, al centro dell’indagine, pongono una verità, le verità, persino la Verità. È lì che il gioco e il raffronto si fanno fini: Fagnani dà sempre l’impressione – forse che una belva, altrimenti, non possa dirsi tale? – di dubitare della persona che si trova di fronte. Documentatissima, proprio come deontologia e teoria giornalistica sempre imporrebbero, spesso attacca con dei “lei ha detto/affermato che” che spingono all’angolo l’intervistato: l’hai detto tu, amico mio, ora devi rendere conto delle fregnacce che hai pronunciato (e che forse hai dimenticato). E così inizia una singolar tenzone che presto vede uno sbilanciamento: l’intervistato traccheggia, prova ad allargare gli orizzonti di senso, magari pure a giustificarsi o a svicolare, ma Fagnani, impietosa, non si fida: “Vabbè, vabbè…”, “eh, sì, mettiamola così”. Il suo occhio si posa quindi su persone che lei ritiene inevitabilmente marpione, scaltramente opache, eppure lei – in quanto belva, ricordiamolo – non dovrebbe avvertire quella natura platealmente imperfetta come troppo lontana da sé. Monica Mondo, di contro, davanti all’intervistato si fa specchio. L’immagine riflessa ce la gustiamo noi spettatori.
Monica Mondo pare sempre affascinata, talvolta quasi soggiogata, dal peso specifico dell’anima che sta interrogando, perquisendo. Sa tirare fuori la voce, ma sa anche ammorbidirsi all’improvviso. Sempre salda nell’inseguire il proprio obiettivo: che non è smitizzare il personaggio, riportare tutto a terra, smascherare l’eventuale artificio o mostrare quanta incoerenza e vanità ispirino le intenzioni umane. Misurandosi con uomini e donne di cultura, di fede, di ragione, Mondo si confronta sia con ciò che sente proprio, sia con ciò che avverte lontano. Nelle sue indagini si trovano calde conferme (Crepet, pieno di rammarico: “Non abbiamo insegnato la realtà ai ragazzi”; Galimberti che ammonisce: “Una volta che sdogani la sessualità, devi per forza trovare un altro tabù”) e momenti in cui la commozione dell’intervistato non pare prodotta da un mezzo, quello televisivo, che sa essere tremendamente fisico (il calore dei riflettori, le attese snervanti, la pressione di chi ti sta davanti), bensì dai naturali approdi del dibattere (capitò a Franco Cardini). Così in “Soul” un uomo apparentemente antico come Antonio Paolucci, dal 2007 direttore dei Musei Vaticani, racconta di vedere nel Petrarca le “squisite nevrosi di un poeta moderno” (“e le cose presenti e le passate mi danno guerra. E le future ancora”). Mondo coglie l’attimo e lo stimola proprio sulle traiettorie dell’uomo moderno. Augias, invece, avverte l’ospite: “Si sta avventurando su un terreno paludoso”. Lei capisce al volo e cambia posizione, senza fare ostruzionismo o rimuginarci sopra. Da Emanuele Severino la giornalista piemontese si beccò un bonario “mi guarda del tutto perplessa”, ma chiunque abbia visto quella puntata di “Soul” credo debba riconoscere quanto valorosa sia stata Mondo nel tentare di seguire, passo per passo, tutti i ragionamenti di uno dei più grandi (e a tratti impenetrabili) filosofi del ‘900. Che dire invece di Pablo d’Ors? Lo scrittore e presbitero spagnolo uscì così bene dalla mezz’oretta a lui dedicata che anche un esegeta del Burzum-pensiero credo sarebbe stato incuriosito da “Biografia del silenzio” (testo tradotto in italiano nel 2014). E poi Gianfranco Ravasi: “Bisogna distinguere tra l’intelligenza – che può anche essere del criminale – e la sapienza, che viene dal latino “sàpere”, avere sapore. La sapienza ha una qualità più profonda e complessa dell’intelligenza”. L’uomo, ragionava Ravasi, dev’essere percorso da almeno una stilla di sapienza durante la sua esperienza di vita. Monica Mondo, quella stilla, l’ha quasi sempre spesa per “Soul” e i suoi invitati. Nel puntare costantemente in alto è finita per abitarci, in alto. Lassù, dove le belve, per ora, ancora non si avventurano.