L’effetto scenico è quasi dissacrante. “Sapete chi è veramente un potente, da otto-nove anni a questa parte?”, Luigi Bisignani incalza i conduttori, ospite a La Zanzara. “Sapete chi è?”. Suspence. “Ve lo dico?” Eddai! “Ugo Zampetti”. Silenzio. “Ma la gente non lo sa chi è”, osserva infatti Giuseppe Cruciani. Eppure la rivelazione ha un certo peso specifico. Intanto perché avviene nell’ambito della presentazione del libro “I potenti al tempo di Giorgia” (edizioni Chiarelettere), scritto da Bisignani insieme a Paolo Madron (coppia già vista in occasione de “L’uomo che sussurrava ai potenti” su Bisignani stesso). E soprattutto per la voce da cui arriva – molta gente non conosce nemmeno lei: quella del “manager del potere nascosto”, sin dai tempi della Prima Repubblica, tra governi Andreotti e iscrizione alla loggia P2 – Bisignani negherà sempre, per poi ricomparire all’interno delle inchieste Vatileaks e P4. Dell’annuncio del faccendiere, magari aveva bisogno chi legge e chi ascolta. Forse quasi tutti, meno che Zampetti.
Chi è dunque costui? In breve, il segretario generale della presidenza della Repubblica. Di fatto molto di più. Perché come osserva Bisignani, “i funzionari restano, i politici passano”. E Zampetti, romano, 73 anni, è annidato nei palazzi dello Stato da decenni. Fino a essere oggi l’ombra – sia perché ne prolunga le mosse, sia perché non si fa vedere – di Sergio Mattarella.
Prima però un salto nel passato. Il padre Enrico fu il direttore della biblioteca del Senato dal 1975 al 1978. A quei tempi la carriera del giovane Ugo, dopo una laurea in Giurisprudenza alla Sapienza, già procedeva spedita: il suo relatore e futuro mentore era Leopoldo Elia, di lì a poco presidente della Corte costituzionale e riverito esponente dell’ala sinistra della Democrazia cristiana. È allora, inizio anni Ottanta, che Zampetti junior emerge dalla moltitudine di burocrati di stanza a Montecitorio. E viene nominato segretario della commissione Affari istituzionali, dove siederà fino al 1990. Da quel momento dirige vari uffici della Camera dei deputati. Poi, nel ’99, ne diventa il segretario generale. Vi rimane durante le presidenze Violante, Casini, Bertinotti, Fini e Boldrini. Per 15 anni. Sopravvivendo a governi di destra, sinistra e centro. Celebre la definizione che vi diede l’ex leader di Rifondazione comunista: “Quello che di Zampetti si può dire è che il suo valore sta nel non dire”. Di nuovo Bisignani: “E sapete, quando Giorgia Meloni diventò vicepresidente della Camera, chi era il segretario generale? Sempre Ugo Zampetti”. Lo fermerà soltanto la pensione.
Ma il sopraggiunto limite d’età non conta più, quando c’è in ballo la più alta carica dello Stato. Nel 2015 Mattarella sale al Quirinale e al suo fianco vuole lui. Zampetti il manovriero, il diplomatico, l’affidabile, il riservato. Tutti epiteti di corridoio. Il suo formidabile retroterra giuridico si coniuga al ricco resto: la destrezza del consigliere, la fermezza del portavoce – tra Colle e palazzi – l’efficienza del dirigente – la casa degli italiani costa pur sempre 710 dipendenti e 243 milioni di euro l’anno. È il factotum del tricolore. Il sorvegliante del dietro le quinte. Che infatti ben si guarda dal finire alla ribalta della cronaca o perfino delle dicerie. Si sa solo che nel suo lavoro è il migliore, e per questo gode di rispetto bipartisan. Il più che si mormora – ma con prudenza, pure in Parlamento – è che ci sia lo zampino di Zampetti dietro ogni azione presidenziale. Fino al travagliato processo che ha portato alla rielezione stessa di Mattarella. Com’è o come non è, dopo lo storico bis anche il segretario è stato riconfermato. La discrezione fa parte della sua persona tanto quanto la folta zazzera bianca, che accompagna le uscite del presidente da otto anni a questa parte. Quella sì, che balza all’occhio. E così la gente si chiede: chi sarà mai quell’uomo? È nel perpetuarsi della domanda, che Zampetti ha costruito la sua longevità istituzionale. E nel lasciare aperta la risposta. Ma ben custodita, come un segreto del Quirinale.