Il naufragio a Steccato di Cutro, in Calabria, ha attirato nuovamente l’attenzione della politica e dei media sul problema della cosiddetta “tratta” operata degli scafisti. Si è parlato di viaggi suicidi, condannati da entrambi le fazioni politiche, seppure per motivazioni diverse. Le vittime sono salite a 70, uno degli ultimi recuperi è stato quello di un bambino di circa 5 anni. L’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (FRONTEX) aveva avvertito della presenza della nave sovraffollata (a bordo erano presenti circa 180 persone, di cui una parte è ancora dispersa), ma sembra che per via del maltempo e delle condizioni del mare, le due motovedette della guardia costiera siano state costrette a rientrare nel porto, fino alla domenica mattina, quando le azioni di soccorso sono state avviate. Mentre si sta aprendo un’indagine per l’arrivo tardivo dei soccorsi, c’è chi punta il dito contro i cosiddetti scafisti. Ma chi sono e che ruolo hanno, davvero, in questi viaggi?
Gli arresti e gli indagati
Il primo marzo, il gip del Tribunale di Crotone Michele Ciociola ha convalidato il fermo di due presunti scafisti dell’imbarcazione naufragata nel mar Ionio, a ridosso della costa italiana. Si tratta di un turco di 50 anni e un pakistano di 25 anni. Insieme a loro è stato fermato anche un 17enne, la cui pratica rientra nelle competenze del Tribunale dei minorenni di Catanzaro. L’accusa è di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Sono attualmente detenuti, così, 3 dei 4 scafisti che si crede siano coinvolti. Tuttavia, le cose non sono ancora chiare, neanche alle forze dell’ordine. Il 25enne pakistano, Khalid Arlslan, sembra aver compiuto il viaggio dopo aver pagato circa 7mila euro ai “veri scafisti”. A raccontarlo è il fratello a Zona Bianca, in una breve intervista mirata a ricostruire la storia di Khalid: «Ho avuto un contatto con mio fratello che il 22 doveva partire dalla Turchia. Ha pagato e ne ho la prova. Prima 4.500 euro e dopo 2.500 euro. Parte di questi sono stati pagati in Pakistan». Alla domanda se avesse avuto o meno un ruolo nella tratta, il fratello risponde: «No, non aveva nessun ruolo, se non per il fatto che parlava turco e traduceva sulla nave. Mio fratello aiutava solo nella lingua e parla con loro. Nessuno gli aveva detto di controllare, doveva solo spiegare ciò che loro volevano dire agli altri».
Quindi, un traduttore che aveva pagato migliaia di euro per il viaggio. Ma non solo, alla domanda se avesse ricevuto o meno minacce, il fratello – arrivato in Italia in un viaggio simile, ma andato a buon fine, e dunque ben conscio delle dinamiche – ha spiegato: «Le minacce, cioè che tu debba fare tutto quello che chiedono, sono cose normali quando fai questa tratta. Sì, lo costringevano a spiegare le cose ai ragazzi. A conferma della versione del fratello anche le prima prove. C’è un messaggio vocale di Khalid poco prima dell’impatto a Cutro: «Papà siamo arrivati, tutto bene. Puoi sbloccare i soldi». Nonostante due interrogatori, in cui la versione di Khalid sembrava coincidere, la presunzione di innocenza non è bastata a fermare le indagini e si è voluto attendere questa prova a cui si aggiunge la “ricevuta” di due tranche di pagamento per un totale di 4.500 euro tramite un’agenzia di trasferimento soldi, così come riporta Il Corriere della Sera.
Chi sono gli scafisti?
Il termine “scafista” viene utilizzato per indicare chi gestisce i viaggi irregolari di migranti dalle coste a sud e a sud est del Mediterraneo verso i Paesi europei di destinazione. Non esistono statistiche affidabili rilasciate e pubblicate dal Ministero degli Interni e da quello della Giustizia, ma alcuni giornali in lingua francese, tuttavia, come Le Temps, L’Express, Le Soir, hanno ricostruito il quadro di provenienza degli attuali detenuti in Italia. Su 880 persone, la maggior parte degli indagati sono egiziani (279), tunisini (182), senegalesi (77), gambiani (74), siriani (41), eritrei (39), marocchini (29), nigeriani (24) e libici (22). Nel 2017 Matteo Salvini aveva parlato di un presunto Dossier in mano ai Servizi Segreti Italiani proprio sugli scafisti e il loro presunto rapporto con le ONG, accusa più volte smentita.
Arrestiamo davvero chi organizza le tratte?
Secondo i report di Arci Porco Rosso e Borderline Europe, due Ong attive nel campo della tutela delle persone migranti, nel 2022 sono stati arrestati 264 individui accusati di essere scafisti, ma con poche prove a sostegno dell’accusa. Spesso e volentieri infatti, come ricorda su Altreconomia Luca Rondi, citando la ricerca Dal mare al carcere condotta nel 2021 dalle due Ong già citate, chi guida le imbarcazioni c’entra poco o niente con gli effettivi organizzatori dei viaggi. Questo potrebbe anche spiegare il ruolo di mediatore linguistico di Khalid Arlslan, un ragazzo che comunque sembra aver pagato per viaggiare, risultando a tutti gli effetti un migrante. Un dossier del Viminale dell’estate scorsa aveva parlato anche di un +41,2% di arresti, ma alla luce delle analisi non è chiaro quanto questi dati possano essere dirimenti. Maria Giulia Fava, operatrice legale di Arci Porco Rosso, ha detto: «Vengono confusi con le organizzazioni criminali quando, nella realtà, sono semplicemente migranti che si mettono al timone delle navi sotto minaccia o per non pagare il viaggio. Altri, invece, ricevono anche delle somme di denaro: al di là delle modalità, il punto è che per loro guidare quella barca è l’unico modo per raggiungere l’Europa».
Stando ai dati del ministero, gli sbarchi nel 2022 sono arrivati a quota 85.000. L’Ong Arci Porco Rosso ha studiato gli arresti e la proporzione è molto significativa: circa 1 fermo ogni 300 persone arrivate. Gli stati di fermo, tuttavia, sono risultati spesso dei veri e propri errori. È il caso di Sakik e Kercec, due giovani turchi condannati l’anno scorso a 12 anni in primo grado, come “trafficanti di uomini”, ma in assenza di prove. Secondo le loro testimonianze, sembra che i veri volti dietro ai viaggi non fossero presenti (come non sono presenti mai) nelle imbarcazioni al momento della partenza: «Ci hanno chiuso, se ne sono andati e, poi, noi siamo partiti dopo quattro ore». Non solo. Grazie alla loro storia, possiamo anche capire perché molti migranti, una volta arrivati in Italia, abbiano additato Khalid come presunto scafista e come lui, probabilmente, molti altri prima. A parlarne è il The Post Internazionale: «Il comandante della sezione navale della Guardia di Finanza crotonese, invece, ha spiegato in che modo, al momento degli sbarchi, interrogano i migranti a bordo, già turbati dal viaggio, per comprendere chi avesse una maggiore libertà di movimento durante la navigazione: è questo dettaglio che consente di individuare i presunti scafisti di ogni viaggio. Unitamente alla nazionalità delle persone a bordo: un turco in mezzo a trenta iraniani, per esempio, è di certo lo scafista. E tanto è bastato a mettere dietro le sbarre due ventenni».
Troppo spesso si accusano i minori
La rivista di Internazionale L’essenziale, ha raccontato in un articolo del 25 agosto del 2022 firmato da Cecilia Ferrara e Angela Gennaro, un altro particolare drammatico legato al tema degli scafisti. Spesso, gli arresti coinvolgono dei minorenni. Anche in questo caso, come si è visto, un 17enne è finito sotto accusa: «Non si sa quanti siano i minorenni che, come Bangura e Ousaineu, negli ultimi anni sono stati arrestati, processati e a volte condannati in Italia per aver guidato imbarcazioni che trasportavano migranti irregolari. L’accusa è di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, reato previsto dall’articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione. Negli anni la norma è stata modificata più volte e secondo molte associazioni della società civile ha finito per diventare un’arma per criminalizzare le persone che entrano in Italia e le organizzazioni non governative che si occupano di migrazioni». Nell’articolo si parla in particolare del caso di Joof Ousaineu e Saidu Bangura, processati in Sicilia come scafisti
Le avvocate che hanno difeso gli imputanti hanno parlato di una strategia: «Quella di dimostrare, all’Europa e all’opinione pubblica italiana, che l’Italia lotta contro il traffico di esseri umani dalla Libia. Un’esigenza nata nel 2013, sulla scia dell’indignazione internazionale seguita al naufragio del 3 ottobre, quando a poche centinaia di metri dalle coste di Lampedusa annegarono almeno 368 persone», scrivono le giornaliste. A confermare quando si è detto riguardo alla presenza o meno dei trafficanti nelle imbarcazioni che arrivano in Italia, anche Stefania Gasparri, volontaria del centro Astalli di Catania: «Le imbarcazioni che attraversano il Mediterraneo centrale non hanno equipaggio. Gli scafisti e i trafficanti di essere umani non sono a bordo: restano in Libia».
Il piano-scafisti è una buona idea?
Il governo Meloni ha annunciato un Cdm a Crotone o a Cutro, così da presentare un piano che si concentri nell’inasprimento delle regole contro gli scafisti. Accanto a questa proposta, secondo Libero, parla della possibilità di attivare dei corridoi regolari per l’ingresso regolare dei migranti, fino a un massimo di centomila. Ma è una buona idea? In base a quanto è possibile constatare, il problema degli scafisti sembra essere legato a un’eccessiva fretta nel condannare le persone sbagliate, con un impatto sul traffico di migranti del tutto trascurabile se non nullo. C’è chi parla dell’ennesima toppa o, peggio, dell’ennesimo capro espiatorio. Ma l’associazione tra cosiddetto “scafista”, che in molti casi non è che una vittima come le altre, e trafficante diventa sempre più debole e sempre meno giustificata.